La Cina ha quasi completato le sue isole artificiali, dotate di presidi militari e piste di atterraggio. Gli Stati Uniti mandano aerei in ricognizione e inviano navi da guerra. Ecco perchè quello che sta accadendo nel Mar Cinese Meridionale è diventato cruciale per le relazioni tra Washington e Pechino.
Di Leonardo Stiz
Che qualcosa stesse succedendo nel Mar Cinese Meridionale non è una novità: sin dal 1947, con la pubblicazione della “nine dotted line”, la Cina reclama il controllo della quasi totalità di quelle vastissime acque, concedendo agli altri paesi rivieraschi solo delle impercettibili fasce costiere. Tali acque, assieme alle rilevanti risorse naturali che vi si trovano sotto, non sono reclamate solo dalla Cina: anche Malesia, Vietnam e Filippine rivendicano la sovranità di alcune di quelle aree (si pensi ad esempio alle Isole Spratly, reclamate da: Cina, Brunei, Malesia, Filippine e Vietnam). La superpotenza asiatica cinese ha dalla sua molti vantaggi di potenza, e sta utilizzando un metodo particolare per giustificare la propria sovranità nell’area: oltre a una presenza militare in aumento, da qualche anno ha iniziato a costruire vere e proprie isole artificiali, portando grandi quantitativi di sabbia e cemento in zone di secca attorno alle isole contese.
La Cina, non avendo lì in loco territori, ha deciso di crearseli. Se all’inizio era poco chiaro a cosa dovessero servire esattamente, ora abbiamo le prime risposte: è stata completata di recente una pista di atterraggio per caccia lunga 3 km, diversi servizi per l’attracco e lo stazionamento di navi e attrezzature militari, alcuni fari nonché servizi per l’accoglienza di civili.
Tecnicamente non c’è nulla di legale in ciò che la Cina sta facendo: la costruzione di isole artificiali in zone contese non è infatti contemplata dal diritto internazionale, che dichiara, nella cornice giuridica della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos), che ogni stato ha sovranità sulla porzione di mare entro le 12 miglia nautiche dalla costa e diritti di sfruttamento economico esclusivo dell’area entro i 300 km (misura che varia in particolari circostanze). Inoltre, entro tali aree, è garantito l’ ”innocent passage” di navi straniere, soprattutto per motivi commerciali. Questi sarebbero i limiti che secondo il diritto internazionale la Cina, così come Filippine, Vietnam e Malesia, dovrebbe rispettare. Limiti apertamente violati dalle rivendicazioni e dalle azioni cinesi.
L’attore principale a cui la Cina sta rivolgendo queste mastodontiche operazioni non sembrano essere gli Stati rivieraschi del Mar Cinese Meridionale. La loro attenzione è rivolta alla grande potenza pacifica statunitense. Negli ultimi due anni, infatti, la politica estera di Washington ha dimostrato un grosso interesse per quell’area del Pacifico. La strategia – denominata “Pivot to East Asia” – prevede, oltre all’aumento della presenza militare (si parla del 60% delle forze della marina militare nei prossimi 15 anni), un rafforzamento dei rapporti commerciali, delle alleanze, e degli investimenti, attraverso la stipulazione di patti bilaterali e multilaterali coi gli Stati della zona, oltre all’implementazione di accordi di sicurezza, come il permesso di utilizzare alcuni basi militari nelle Filippine.
Gli interessi statunitensi si scontrano con le politiche espansionistiche della Cina, così come gli interessi cinesi si scontrano con la massiccia – e dal punto di vista cinese ingiustificata – presenza degli Stati Uniti nell’area rivendicata. Per questo motivo la Cina, ultimamente, ha iniziato a trattare qualsiasi interferenza nel raggio delle sopracitate 12 miglia dalle sue isole artificiali come una violazione del proprio territorio sovrano, opponendosi anche a passaggi innocui, arrivando negli ultimi mesi ad affondare alcuni pescherecci vietnamiti, esplicitando con forza le proprie rivendicazioni sovrane. Se gli Stati Uniti si sono inizialmente limitati a reclamare la loro libertà di transito e commercio ed il rispetto delle regole internazionali, cercando di internazionalizzare il conflitto coinvolgendo gli Stati rivieraschi, negli ultimi mesi le relazioni stanno diventando più muscolari.
È del 2 ottobre la notizia che gli Stati Uniti hanno deciso di far transitare un cacciatorpediniere classe Burke (l’USS Lassen) nel Mar Cinese Meridionale per sfidare apertamente le rivendicazioni di Pechino, dimostrando di non riconoscerne la fondatezza. Ciò potrebbe essere il preludio per l’invio anche di portaerei che transitino nella già molto trafficata area contesa. A seguito di tali azioni, importanti media cinesi hanno parlato di una “ferma reazione alle provocazioni statunitensi”: la Cina non tollererà le “rampanti” violazioni della sovranità cinese da parte degli USA, e che sarà pronta a utilizzare la sua forza militare per delle controazioni proporzionate alle violazioni perpetrate dalla Marina americana.
Ancora, l’agenzia di notizie cinese Xinhua ha pubblicato un articolo facendo sapere, tra le altre cose, che comportamenti di questo genere porteranno alla militarizzazione della zona. Un esperto dell’ American Foreign Policy Council ha definito preoccupanti tali dichiarazioni, ammettendo che Usa e Cina stiano sfiorando la crisi.
Alcuni parlano di guerra imminente. Probabilmente non accadrà, almeno nel medio periodo, dato che il passaggio dalle dimostrazioni muscolari al conflitto diretto è costoso e complesso, soprattutto in vista dei programmi economici che Usa e Cina stanno trattando. Sta di certo però che negli ultimi mesi le relazioni si sono inasprite, sono iniziate le minacce e, apparentemente, le mobilitazioni di mezzi pesanti. Il Mar Cinese Meridionale, con la sua grande muraglia di sabbia cinese, sarà una zona delicata e cruciale per il futuro.
[ecko_alert color=”orange”]12 mappe per capire il Mar Cinese Meridionale[/ecko_alert]
Tutte le mappe sono di proprietà dell’Asian Maritime Transparency Initiative: http://amti.csis.org/about/