La logica glocale delle mafie transnazionali

Member of the CAFGU paramilitary unit passes by village of Dattu Hoffer in Maguindanao. CAFGU is irregular auxilary force of the Armed Forces of Philippines (AFP). It was created in 1987 when the Filippino government provided them with weapons to prevent the re-infiltration of insurgents into communities that have already been cleared. By 2007 there were estimated to be some 60,000 CAFGU members active. Number still remains high despite allegations of human rights abuses commited by CAFGU. credits: Agron Dragaj
Le organizzazioni criminali hanno tutto ciò che serve per sfruttare il caos internazionale. In ogni luogo del mondo in cui viene meno la stabilità e la sicurezza, la criminalità organizzata si impegna a riempire i vuoti lasciati dall’assenza di Stato e sovranità. In questa rubrica vi racconteremo le aree del mondo più interessate da questi fenomeni.

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di Samuele Motta

“Quello mafioso si presenta oggi come un fenomeno non solo internazionale, ma perfino globale. Globali sono gli interessi delle mafie e il loro raggio d’azione, globali sono le sfide che le mafie pongono a tutti gli Stati (…)”

(Enzo Ciconte, “Le mafie: dall’Italia al mondo e ritorno”, Atlante Geopolitico 2012, 2011)

I “vuoti” caratterizzano da sempre la storia delle istituzioni e degli Stati. Queste situazioni in cui il controllo del Dominus legittimo viene meno, possono favorire la nascita di contesti criminogeni, ossia contesti che producono, favoriscono ed incoraggiano le attività criminali. Tra essi vi sono certamente le guerre, che sono le “creatrici di vuoti per eccellenza” e che spesso consentono lo svilupparsi di un “effetto di diversione del quale approfittano alcuni potenti e lucidi attori criminali”, come scrive Jean François Gayraud nel suo libro “Divorati dalla mafia: Geopolitica del terrorismo mafioso”.

Le diverse crisi, locali e regionali, in particolare avvenute nel mondo post-bipolare hanno favorito la fuoriuscita della violenza dell’orizzonte stato-centrico, anche grazie allo svilupparsi di altri potenti attori, come appunto le organizzazioni criminali. A ciò concorre anche l’abbassamento delle soglie di accesso alla stessa violenza, riscontrabile ad esempio nell’aumento del numero dei gruppi armati e nella facilità all’accesso alle armi comuni, come può evidenziare il fenomeno dei bambini soldato. Al fenomeno della globalizzazione, si è quindi legata la diffusione della violenza fuori dall’ambito della “legittimità” statale, che ha dato vita ad un’epoca in cui lo Stato non è più l’unico ente (e in taluni casi nemmeno il più idoneo) capace di proteggere alcune fasce della popolazione dalle turbolenze esterne. Si crea quindi una destabilizzazione del concetto chiave del “protego, ergo obligo”.

Dalla caduta del muro di Berlino – di cui proprio oggi si commemora la data – lo Stato, pur crescendo costantemente di importanza come unica forma di dominio di persone su un territorio, non è sempre in grado di filtrare il disordine dell’ambiente internazionale per garantire la pace interna; il che consente alle tendenze globali di fondersi con le questioni locali o regionali. Ciò favorisce l’insediarsi e l’espandersi di gruppi criminali locali che vogliono operare a livello internazionale; un aspetto che potremmo definire di “glocalità” (concetto proposto da Carlo Galli nel suo pamphlet “La guerra globale”). È qui che trova linfa vitale la criminalità transnazionale: i gruppi criminali internazionali, ad esempio, sono potuti partire alla conquista degli spazi russi, mentre i russi hanno potuto reinvestire i loro capitali in Occidente, anche attraverso “colonizzazioni” di piccoli paesi hub, come nel caso della Moldavia, che avevamo raccontato qui.

Il termine “glocalità” vuole esprimere l’idea che ogni situazione locale o regionale, grazie all’influenza della globalizzazione (la pervasività della globalizzazione consiste proprio nel fatto che ogni parte è in contatto con il tutto), diviene anche una questione di livello planetario. Promotori e al contempo attori privilegiati di questo agire “glocale” sono le organizzazioni criminali transnazionali. Esse, basandosi su un modello di globalizzazione incarnata nel famoso slogan “think global, act local”, riescono a gestire questa “glocalità” e a muoversi agevolmente.

Le criminalità organizzate sono infatti mutevoli, agili e si adattano in fretta alle differenti situazioni; il che consente loro di operare su più livelli (regionale, statale, continentale, globale) e in più ambiti, avendo come unica stella polare il perseguimento del potere e/o del guadagno. Questo modus operandi, associato alla loro indole, gli permette di avere una profonda duttilità rispetto ai diversi contesti in cui si trovano ad operare, consentendogli di legarsi a chiunque sia loro funzionale, secondo una logica estremamente utilitaristica.

Tutto ciò ha consentito ai gruppi criminali transnazionali di crearsi dei network, delle alleanze, e talvolta persino dei veri e propri rapporti d’ibridazione con diversi altri soggetti, anche terroristici. Ciò, tra le altre cose, rende spesso difficile distinguere i gruppi di matrice politico-terroristica dalle organizzazioni criminali, poiché i metodi di reperimento del denaro diventano gli stessi, così come simili sono le strategie perseguite per l’ottenimento del potere.

Anche per questo motivo si può capire come la guerra alle criminalità organizzate deve essere a tutto campo, in quanto il fenomeno mafioso si presenta oggi non solo come una realtà locale, regionale o nazionale, ma persino internazionale e globale, proprio come globali sono le sfide che questi sindacati del crimine pongono agli Stati.