La situazione siriana è un inferno. Capire cosa sta succedendo è doveroso in quanto esseri umani e indispensabile per la comprensione di quei fenomeni che travalicano i confini naturali di quella terra. Per questo motivo la nostra Rivista seguirà più da vicino la guerra siriana, che in realtà sono tante guerre diverse e sovrapposte, in modo da fornire un quadro sempre aggiornato e il più chiaro possibile.
Mentre il regime siriano guadagna sempre più terreno, la vittoria militare di Damasco e dei suoi alleati si consolida sempre di più, ma quella politica?
Fino a un anno fa il regime siriano controllava circa un terzo del territorio nazionale. Oggi, grazie al determinante sostegno russo e iraniano, ne controlla circa il 60%. Dopo la sanguinosa riconquista lo scorso aprile della Ghouta orientale, al cui scopo l’attacco chimico su Douma fu determinante, si sono susseguite numerose rese da parte dei gruppi ribelli in alcune sacche di resistenza a Damasco, Hama e Homs, e conseguenti “evacuazioni” di quanti, civili compresi, non volessero tornare sotto controllo governativo.
Nelle ultime settimane queste “evacuazioni” verso le zone ribelli nel nord della Siria, che spesso sono veri e propri trasferimenti forzati e che nel caso di Aleppo la Commissione d’Inchiesta ONU sulla Siria aveva definito “crimine di guerra”, hanno riguardato i sobborghi damasceni di Yalda, Babila e Beit Sahem e nelle ultime ore anche al Hajar al Aswad – unico sobborgo in mano a una cellula dell’ISIS – nonché le ultime sacche di resistenza tra Homs e Hama, come Harasta, Talbisieh e Houla. Ciò significa che di fatto tutta la Siria centrale è di nuovo in mano al regime.
Le uniche zone ancora in mano ai ribelli sono la provincia di Idlib, dove si stima vivano 2 milioni e mezzo i persone tra abitanti e sfollati, e la provincia di Deraa, dove negli ultimi giorni il regime ha avviato i preparativi di un’offensiva militare che sarà prossima se i ribelli non accetteranno la resa.
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Il regime siriano si avvia dunque a consolidare del tutto la sua vittoria militare, anche se ampie porzioni di Siria restano fuori dal suo controllo – non solo Idlib, ma anche il nord curdo. Tuttavia, i veri vincitori del conflitto sono i suoi alleati russi e iraniani e in parte la Turchia: come avevamo analizzato qui, infatti, ognuna di queste tre potenze ha raggiunto i suoi obiettivi prioritari.
Potenze che non a caso sono le quelle che ai tavoli negoziali di Astana – processo parallelo a quello di Ginevra che ormai lo ha di fatto soppiantato in termini di effettività e risultati politici – hanno deciso il corso della guerra, determinando il futuro del Paese.
L’ultimo round dei colloqui di Astana si è tenuto la settimana scorsa, il 14-15 maggio, e il risultato più concreto è stato di fatto riaffermare le conquiste territoriali in corso e le aree di influenza, sebbene la dichiarazione congiunta firmata da Russia, Iran e Turchia affermi che le tre potenze restano impegnate nel rispetto della risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza, che prevede una transizione politica e nuove elezioni, e che riaffermano la loro determinazione a proseguire gli sforzi congiunti volti a far progredire il processo politico, facilitando l’attuazione del Congresso di Dialogo Nazionale Siriano a Sochi il più presto possibile.
Le tre potenze hanno inoltre concordato che la prossima riunione del gruppo di lavoro si terrà ad Ankara nel giugno 2018 mentre il prossimo round dei colloqui di Astana si terrà per la prima volta a Sochi nel luglio 2018.
La scelta di una località russa in sostituzione della usuale Astana, capitale di un Paese neutrale al conflitto come lo è il Kazakistan, ha scatenato la reazione dei gruppi dei ribelli siriani, che hanno già promesso di boicottare l’evento perché, come ha detto il negoziatore dei ribelli Yasser Abdul Rahim, “dobbiamo rispettare il nostro popolo. La Russia non ha mai smesso di uccidere civili siriani“.
Dal canto suo la Russia, per bocca del suo negoziatore Alexander Lavrentyev, ha dichiarato: “Comprendiamo che questo [cambio di località] sembri piuttosto strano, ma […] considerando la situazione sul campo, le nuove realtà, vorremmo dare un nuovo slancio ai colloqui, spostando l’attenzione più verso le componenti politiche e umanitarie“.
In realtà, spostare i colloqui in Russia, rinunciando al principio di neutralità che di solito guida la scelta delle località dei colloqui politici, è una scelta politica che lancia un messaggio molto chiaro circa i rapporti di forza e l’esito della guerra.
Tuttavia, la vittoria militare del regime siriano e dei suoi alleati non determinerà la fine del conflitto e non implica automaticamente una vittoria politica: in un Paese raso al suolo il cui governo deve la sua sopravvivenza alle potenze straniere alleate, in un Paese diviso in zone di influenza, con migliaia di milizie straniere, con il tessuto sociale distrutto e con oltre metà della sua popolazione rifugiata all’estero, sfollata, detenuta o deceduta, con una quantità abnorme di crimini contro l’umanità che rischiano di restare impuntiti e con nuove leggi sulla confisca dei beni dei rifugiati che rischiano di impedirne il ritorno in patria, una reale vittoria da parte del regime, che non sia solo militare, resta da vedere, così come una fine reale del conflitto appare ancora molto lontana.
di Samantha Falciatori