La situazione siriana è un inferno. Capire cosa sta succedendo è doveroso in quanto esseri umani e indispensabile per la comprensione di quei fenomeni che travalicano i confini naturali di quella terra. Per questo motivo la nostra Rivista seguirà più da vicino la guerra siriana, che in realtà sono tante guerre diverse e sovrapposte, in modo da fornire un quadro sempre aggiornato e il più chiaro possibile.
I rapporti militari e (geo)politici tra i due Paesi sono più profondi di quanto si pensi, e riguardano anche le armi chimiche.
Siria e Corea del Nord sono tornate al centro dell’attenzione mediatica in queste ultime settimane per essere finite “nel mirino” della politica estera di Donald Trump, in parte perché ritenute una minaccia rispettivamente chimica e nucleare. In comune però hanno ben più di questo: sono legate a doppio filo da un’alleanza decennale che è molto più profonda di quanto sembri, e che ha portato a un diretto coinvolgimento nordcoreano – passato in sordina – nell’attuale conflitto siriano.
Le armi, tra cui quelle chimiche
La Corea del Nord è un grande venditore di armi e tecnologie militari. Uno dei maggiori acquirenti è l’Iran, ma anche la Siria fa parte della corta lista di clienti nordcoreana. L’alleanza del regime siriano e quello nordcoreano in questo ambito risale, come emerge anche da questo saggio di Bruce E. Bechtol (di cui consigliamo la lettura), agli anni ’60, da quando cioè entrambi i Paesi si avvicinarono grazie alla comune alleanza con l’Unione Sovietica.
Tra le armi commerciate vi sarebbero anche missili balistici, missili SCUD e armi chimiche. Il regime di Pyongyang avrebbe fornito a quello di Damasco le più avanzate tecnologie in loro possesso per convertire gli agenti chimici in testate per ordigni, tra cui gli essiccatori a vuoto usati per asciugare gli agenti chimici liquidi prima di essere trasformati in polveri fini. La Corea del Nord avrebbe anche inviato esperti di armi chimiche in Siria dalla metà degli anni ’90, oltre ad aver aiutato la Siria a costruire una centrale nucleare che Israele ha distrutto in un attacco aereo nel 2007.
Nel corso degli anni sono state numerose le navi cariche di armi – e in alcuni casi agenti chimici – provenienti dalla Corea del Nord e dirette in Siria. Nel 2009 la Grecia intercettò e sequestrò una di queste navi che conteneva materiali per fabbricare armi chimiche e attrezzature di protezione, tra cui maschere anti-gas; nel 2012 la Corea del Sud sequestrò una nave diretta in Siria con componenti di missili e nello stesso anno un rapporto dell’ONU denunciava le violazioni delle sanzioni imposte alla Corea del Nord e le sue attività di esportazione di componenti missilistiche. Nel 2013 la Turchia sequestrò un’altra nave che conteneva armi da fuoco e maschere anti-gas. Fu lo stesso anno in cui il regime siriano bombardò con gas sarin il sobborgo damasceno di al Ghouta.
Il coinvolgimento nordcoreano nel conflitto siriano
Nel 2013 la Corea del Nord incrementò il suo sostegno militare al regime siriano. Il 24 luglio 2013 una delegazione siriana si recò a Pyongyang per incontrare una delegazione di Kim Jong-un, che promise maggiore supporto militare.
Nell’area di Aleppo, i nordcoreani hanno svolto un ruolo importante nella riparazione delle infrastrutture distrutte dal conflitto, assistendo anche nella pianificazione delle operazioni militari contro i ribelli, in stretta collaborazione con le forze iraniane in Siria, come nel caso della battaglia di Qusair. Non ci sarebbe però solo qualche decina di consiglieri militari nordcoreani in Siria, ma anche truppe e piloti. Sebbene i numeri siano ridotti, si tratta di una presenza militare molto significativa nel contesto del conflitto, considerando anche lo storico isolamento di Pyongyang. Inoltre alle elezioni in Siria del 2014 parteciparono, su richiesta di Damasco e per garantirne il “regolare e democratico svolgimento”, anche osservatori nordcoreani, oltre che russi, iraniani e zimbabwiani. Nel 2015, i due Paesi hanno persino firmato un accordo di cooperazione in materia di cultura.
Perché questa alleanza
Questa alleanza militare, consolidatasi con la guerra in corso, risponde alle esigenze del regime siriano di rifornirsi di armi e tecnologie avanzate e del regime nordcoreano di assicurarsi introiti economici e di valuta estera, oltre al fatto che il conflitto siriano offre ai militari nordcoreani presenti sul territorio un’esperienza sul campo che l’isolazionismo di Pyongyang non rende spesso possibile. Quest’alleanza va però anche inquadrata in un più ampio contesto geopolitico.
I due Paesi condividono gli stessi alleati, a cominciare dall’Iran e dagli Hezbollah libanesi, che nel corso degli anni anche la Corea del Nord ha rifornito di armi. Condividono in parte anche gli stessi nemici, sono entrambi Paesi soggetti a sanzioni ONU e inseriti nella lista statunitense dei Paesi “sponsor del terrorismo”; anche per questo entrambi hanno fatto dell’anti-americanismo e della retorica anti-imperialista i capisaldi della propaganda di regime.
Ma c’è una cordialità tra i due regimi che sembra andare oltre la mera alleanza di interessi geopolitici. Nel 2015, il regime siriano inaugurò a Damasco un parco intitolato a Kim Il-sung, nonno dell’attuale leader nordcoreano, venerato come il “Presidente Eterno”, lo stesso appellativo con cui veniva celebrato Hafez al Assad, padre di Bashar, nei canti scolastici e nelle manifestazioni di regime e come avvenne alla sua morte nel 2000, quando le colline intorno a Damasco si riempirono di gigantografie del defunto leader con il motto: “Con Assad per l’eternità, oltre l’eternità”.
Esistono infatti delle somiglianze ontologiche e strutturali molto significative tra i due regimi, non solo perché sono dittature i cui leader hanno ereditato il potere dai rispettivi padri, controllando con il pugno di ferro ogni aspetto della vita dei rispettivi Paesi, ma anche perché entrambi i Paesi sono fondati sulla militarizzazione dello Stato e sul culto di divinizzazione del Presidente. È proprio questo culto alla base di alcune delle efferatezze compiute nei due Paesi, sebbene non siano certo queste ultime ad aver motivato i recenti sviluppi della politica estera americana.
di Samantha Falciatori