Il nuovo primo ministro dell’Etiopia Abiy Ahmed, insediatosi ad aprile, ha ammesso pubblicamente che gli apparati di sicurezza del Paese hanno torturato e commesso “atti terroristici” contro i propri cittadini, in una rara ammissione di responsabilità delle istituzioni.
Ahmed è entrato in carica dopo che il suo predecessore si è dimesso a causa delle proteste che hanno causato la morte di diverse centinaia di persone, principalmente nelle regioni di Oromia e Amhara.
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Rivolgendosi al Parlamento lo scorso 18 giugno ha detto:
La nostra Costituzione non lo consente, ma abbiamo torturato, causato danni fisici e gettato i detenuti in oscure celle di detenzione. Si è trattato di atti terroristici commessi da noi e usare la forza per restare al potere è un atto terroristico”.
Da allora promettendo ai cittadini etiopi che “l’era della tortura di Stato è finita”, Abiy Ahmed ha attuato riforme e provvedimenti significativi.
Dopo aver rimosso il Capo di Stato maggiore dell’esercito e il Direttore dell’Intelligence, aver abolito lo stato di emergenza e aver rilasciato migliaia di detenuti politici, il 5 luglio ha rimosso anche il capo del servizio penitenziario del Paese per violazione dei diritti umani e rimosso tre partiti di opposizione dalla lista delle “organizzazioni terroristiche”, accusa ampiamente usata in passato per reprimere il dissenso.
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Questi ultimi provvedimenti, giunti a ridosso della pubblicazione di un rapporto di Human Rights Watch che denuncia le torture della prigione di Ogaden, e uniti alla recente offerta di pace all’Eritrea e alla liberalizzazione dell’economia volute dal nuovo Primo Ministro, indicano l’inizio di una trasformazione significativa dello Stato etiope, che potrebbe essere a una svolta.
di Samantha Falciatori