L’Europa – alle prese con un’emergenza sanitaria senza precedenti – deve anche fare i conti con un durissimo braccio di ferro per la gestione dei fondi. Da una parte Commissione e Parlamento europeo e dall’altro i Governi di Polonia e Ungheria che hanno alzato un muro sul tema dello Stato di diritto.
Lo scorso 5 novembre il Consiglio e il Parlamento hanno siglato un accordo preliminare che vincola l’assegnazione dei fondi messi a bilancio dall’Europa al rispetto dello Stato di diritto e dei valori su cui si fonda l’intera Unione europea.
Un’eventualità che non è piaciuta, tanto per cambiare, né al premier ungherese Viktor Orbàn e tantomeno all’omologo polacco Mateusz Jakub Morawiecki. Entrambi hanno già fatto sapere della possibilità di porre il veto sul Quadro finanziario pluriennale (il Qfp, il bilancio europeo a lungo termine) che raggiunge i 1.900 miliardi compreso il piano Next Generation Eu.
L’Europa e lo Stato di diritto
Ma cosa si intende per Stato di diritto? E di cosa è realmente “ostaggio” l’Unione europea? Rispetto dei diritti fondamentali, dei diritti umani e civili e delle libertà dei cittadini. Questa, per sommissimi capi, la definizione di quel concetto filosofico-politico che è appunto lo Stato di diritto.
Ma l’accordo di vincolare i prossimi fondi europei e anche la quota destinata agli Stati membri del nuovo Recovery fund alla tutela di diritti e libertà pare non essere andato giù (nonostante un iniziale accordo siglato dal Consiglio) ai Governi di Budapest e Varsavia.
A ottobre era stato lo stesso Parlamento europeo, riunito a Bruxelles e non a Strasburgo a causa della pandemia, a chiedere un maggiore impegno nel monitoraggio costante della tutela dei valori democratici “non negoziabili” dell’Unione. Un maggiore impegno che però vincolerebbe l’accesso ai fondi a bilancio (e anche quelli per le risposte all’emergenza sanitaria) anche per quegli Stati che, più di altri, faticano a rispettare i principi dello Stato di diritto e per questo sono spesso al centro delle procedure di infrazione da parte della Commissione europea stessa.
Insomma, ancora una volta, lo stallo politico sul tema di diritti e libertà tiene in scacco l’intera Unione creando non pochi problemi all’attuale presidenza tedesca di Angela Merkel.
Ungheria e Polonia, due questioni aperte
Sia Budapest che Varsavia, infatti, hanno fatto sapere che potrebbero porre il veto sulla votazione del Qfp, il bilancio a lungo temine dell’Unione europea. Una scelta che prolungherebbe ulteriormente lo stallo nell’approvazione del bilancio e a un allungamento dei tempi per dell’avvio del Recovery fund.
Nulla è concordato finché tutto non è stato concordato.
Questo il commento, secco e deciso, del premier ungherese Viktor Orbàn che ha quindi lasciato intendere che al momento nessun accordo sul Quadro finanziario pluriennale è stato raggiunto. Una posizione ribadita anche in una lettera inviata alla presidente della Commissione Ursula von der Leyen, al presidente del Consiglio Charles Michel, ad Angela Merkel e ai capi di Governo dei Paesi che guideranno l’Unione da qui alla fine del prossimo anno.
Lo scorso venerdì pure Morawiecki, capo del Governo polacco, non aveva nascosto l’eventualità di un veto come protesta contro la decisione dell’Unione di vincolare i fondi.
Noi continueremo a fornire tutte le informazioni relative all’uso di fondi, ma non accetteremo che lo Stato di diritto sia interpretato secondo la visione dell’Unione europea. ognuno ha un’opinione diversa su come opera la Polonia e sull’indipendenza delle sue istituzioni.
Questo invece il succo della posizione dell’Esecutivo di Varsavia che non ha gradito l’interessamento dell’Europa sulla loro gestione in tema di diritti e di libertà individuali.
Proprio in tema di libertà ad aprile la Commissione aveva avviato una procedura di infrazione nei confronti della Polonia (e non sarebbe la prima volta), puntando i riflettori sulla nuova legge di riforma della magistratura. A ciò si aggiunge anche la recente protesta contro le normative che limitano fortemente l’accesso all’aborto.
Il Parlamento europeo continua a lavorare
Dopo ben dieci settimane di serrate negoziazioni, questo pomeriggio – martedì – i deputati che negoziano in nome del Parlamento hanno invece concordato con la Presidenza del Consiglio le linee guida per un accordo sul prossimo bilancio 2021-2027 e sulle nuove risorse.
Il Parlamento ha ottenuto, nel compromesso, 16 miliardi di euro in aggiunta al pacchetto concordato dai capi di Stato e di governo al Vertice di luglio. Di questi, 15 miliardi di euro rafforzeranno i programmi faro dell’Unione per proteggere i cittadini dalla pandemia Covid-19, fornire opportunità alla prossima generazione e preservare i valori europei, mentre il restante miliardo di euro andrà ad aumentare la flessibilità di bilancio per far fronte a possibili esigenze e a crisi future.
Il compromesso, raggiunto tra i deputati e la Presidenza del Consiglio, dovrà ora essere approvato dal Consiglio, dal presidente e dai capigruppo del Parlamento, e sarà poi sottoposto al voto della Commissione parlamentare per i bilanci e, in ultima battuta, in Plenaria.
Insomma, il vero nodo resta legato al concetto di libertà individuali e di diritti civili su cui dovrebbe esserci – in linea di principio – l’idea che siano temi da tutelare e valori imprescindibili dei quali non poter fare a meno.
Ma – ancora una volta – l’interpretazione di quei valori irrinunciabili su cui è stata fondata la stessa Europa, evidentemente, non per tutti è una priorità.
(Photo: Chancellery of the Prime Minister – Poland)
di Omar Porro