In Libano un terzo dei quattro milioni di abitanti è siriano. Nel Gennaio 2015 il governo ha deciso di rinunciare ad una politica d’accoglienza dalle “porte aperte” – peraltro adottata senza essere vincolato da alcun trattato internazionale – per introdurre un regime di visti.
Sono passati già quattro anni dallo scoppio della guerra civile Siriana e i problemi a essa collegati, continuano ad aumentare a livello globale, soprattutto per i paesi confinanti. Il Libano su tutti esperisce la prossimità geografica al teatro di guerra in maniera drammatica, ritrovandosi ad accogliere, all’interno del suo territorio, oltre un milione di profughi tra siriani e palestinesi. Situato in un’area tra le più calde del Medioriente, confina a nord e a levante con la Siria e a sud con Israele. La storia libanese successiva all’indipendenza ottenuta dalla Francia nel 1943, è stata caratterizzata dall’alternanza tra periodi di stabilità politica e di disordine; scenario di una sanguinosa guerra civile durata quindici anni tra il 1975 e il 1990 e di due guerre con Israele, nel 1978 e nel 2006. Il Libano è inoltre il quartier generale del movimento politico sciita di resistenza Hezbollah, (il Partito di Dio), fondato nel 1982 a seguito dell’invasione israeliana. Dopo lo scoppio della guerra civile siriana nel 2011 in Libano le problematiche umanitarie relative all’accoglienza di profughi, sono peggiorate e negli ultimi due anni, si sono acuite a tal punto, da essere ormai fuori controllo.
Oggi la causa principale dell’instabilità libanese è il problema dei profughi siriani i quali aumentano in maniera esponenziale. Come mostra il documento ufficiale dell’Ilo, si è passati dai 33.382 ingressi nel Luglio 21012, agli 854.352 nel Gennaio del 2014. Eppure questi dati sono già un lontano ricordo poiché la situazione odierna è addirittura peggiore. L’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), riporta la presenza sul territorio di 927.638 profughi siriani (di cui 879.907 regolarmente registrati e circa 47.731 in attesa); una cifra inferiore di quella dichiarata dal governo libanese, che parla di 1.100.000 ingressi, ma ben lontana, da quella dichiarata da Padre Paul Karam -direttore di Caritas Libano – che afferma che il numero di disperati si attesti intorno all’apocalittica cifra di 1.600.000 presenze. Numeri sconcertanti, se messi in relazione, ai circa quattro milioni e mezzo di cittadini libanesi; poiché testimoniano la presenza di un siriano ogni quattro abitanti. Per dare un’idea è come se l’Italia dovesse far fronte alle prime necessità di 20 – 30 milioni di profughi.
Gli aiuti finanziari erogati dalla comunità Internazionale non sono mancati in questi anni, ma sembrano tuttavia insufficienti, data la gravità della situazione. Secondo la Banca Mondiale, il paese spende quasi 7,5 miliardi solo per assicurare ai profughi il minimo indispensabile. Di fronte a un’emergenza umanitaria che non sembra avere soluzione nel breve periodo, il Libano, ha deciso nel gennaio 2015, di limitare l’afflusso di profughi all’interno dello Stato, attraverso l’imposizione di una sorta di visto d’ingresso per tutti i siriani in fuga dalla violenza. Senza dubbio la nuova strategia, come afferma il Ministro degli Interni Machnouk, è diventata una necessità poiché i rifugiati siriani rappresentano ormai il 27% della popolazione libanese. Un dato sconcertante se paragonato a quello registrato presso altre nazioni “rifugio”: 10% in Giordania e 4% nella più estesa Turchia. L’adozione di queste misure serve a verificare che siano rispettate le condizioni per essere rifugiato; come sottolinea il ministro, non c’è alcuna volontà punitiva, ma solo la necessità non più prorogabile di regolare un flusso che altrimenti rischia di sommergere il Libano. Il paese dei cedri è allo stremo delle forze e il rischio di una nuova guerra civile è dietro l’angolo. L’economia è danneggiata, si è registrato un tracollo del settore turistico e una sostanziale riduzione degli investimenti diretti dall’estero; inoltre l’abbondanza di manodopera riduce i salari e aumenta la disoccupazione. Sia la popolazione locale che i profughi sono testimoni di una continua perdita di sicurezza, causata dall’aumento della criminalità, e dal dilagare della violenza specialmente nei confronti delle donne e dei bambini. A questo si aggiunga la presenza in Libano di numerosi campi profughi non autorizzati, dove l’assistenza umanitaria diventa pressoché impossibile.
Questo è il Libano oggi, il paese con la più alta densità al mondo di rifugiati per abitante. Quello che era uno dei principali poli culturali ed economici del Medio Oriente, ora è un rifugio infernale, dove il 41 % dei giovani siriani e dei libanesi che vivono in zone che ospitano profughi, pensa seriamente al suicidio. Un paese che pur non figurando tra i firmatari della Convenzione di Ginevra si trova costretto a sacrificare la propria stabilità sociale, per far fronte – suo malgrado – (prossimità geografica), a un’emergenza umanitaria paragonabile a quella che la Somalia dovette affrontare negli anni ottanta, quando ospitò circa 2 milioni di Etiopi. Una grande lezione per l’Europa, da prendere come esempio.
Alberto Marcolli