La situazione siriana è un inferno. Capire cosa sta succedendo è doveroso in quanto esseri umani e indispensabile per la comprensione di quei fenomeni che travalicano i confini naturali di quella terra. Per questo motivo la nostra Rivista seguirà più da vicino la guerra siriana, che in realtà sono tante guerre diverse e sovrapposte, in modo da fornire un quadro sempre aggiornato e il più chiaro possibile.
La recente riconquista di Palmyra da parte dell’esercito siriano e dei suoi alleati ha sottratto la città, e il suo prezioso sito archeologico Patrimonio dell’UNESCO, da oltre 10 mesi di dominio e distruzione da parte dell’ISIS, ma anche della pesante offensiva russo-siriana che ha inflitto danni sia al sito archeologico che ai quartieri residenziali della città. Quali sono i danneggiamenti riportati dalla “Sposa del Deserto”? E quali quelli, più in generale, del Patrimonio archeologico siriano in altre zone? Perché l’offensiva è stata lanciata adesso? Perché questa liberazione è stata accolta con la fuga dai residenti di Palmyra? Ce ne parla Alberto Savioli, archeologo dell’Università di Udine dal 1997 impegnato in Siria (ma anche in Libano, Turchia, Iraq, Arabia Saudita). In Siria, per conto della IUCN (Unione Mondiale per la Conservazione dell’Ambiente), ha condotto una ricognizione etnografica e socio-economica sulle tribù a nord di Palmyra. Dal 2011 collabora con il sito web SiriaLibano, ed è impegnato in conferenze sul conflitto siriano e sulla distruzione del patrimonio storico-artistico siriano e iracheno. Dal 2012 segue il Progetto Archeologico Terra di Ninive nel Kurdistan Iracheno.
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Transcript
Z: Lo scorso 27 marzo, le truppe siriane e i loro alleati hanno riconquistato la città di Palmyra, strappandola all’ISIS, che la controllava dal maggio 2015. Quanto sono estesi i danni inflitti dall’ISIS?
S: I danni principali che l’ISIS ha compiuto sulle rovine sono quelli che sono stati pubblicizzati di fatto dall’ISIS stessa e che abbiamo visto, ossia la distruzione dei due principali templi di Palmyra, il tempio di Baalshamin prima e il tempio di Baal, e poi parzialmente, diciamo, è collassato, l’Arco Trionfale, anche se lo stesso si potrà ristrutturare. Per il resto i danni, oltre quelli che abbiamo visto, quindi compiuti con la dinamite e con distruzioni deliberate (mi sono dimenticato di dire anche alcune tra le tombe principali), ci sono i danni che erano stati inflitti precedentemente all’avanzata dell’ISIS a Palmyra, e che riguardano tutto il sito archeologico, lo stesso castello mamelucco di Fakhr-al-Din al-Ma’ani, che è stato bombardato dai Sukoi e dai Mig russi durante la riconquista dell’esercito siriano; quindi i danni maggiori che ha avuto la città sono questi, senza poi dimenticare chiaramente il museo. In parte era stato svuotato di alcuni materiali principali, come le grandi statue, però aveva ancora tantissimi oggetti che non erano ancora stati trasferiti a Damasco e che son stati distrutti, e soprattutto son stati scalpellati i volti di alcune statue, di alcuni busti che provenivano da tombe palmirene, e poi sappiamo che anche delle mummie sono state bruciate, almeno due mummie, che erano presenti all’interno del museo. Questo è il danno maggiore che si può notare nella Palmyra riconsegnata in qualche modo al regime, o governo, siriano, come lo si voglia chiamare.
Z: Ecco, come infatti accennava, i danni che sono stati riportati dalle rovine di Palmyra, indubbiamente principalmente dall’ISIS, ma hanno comunque risentito anche dell’offensiva dei bombardamenti russi e dei colpi d’artiglieria del governo siriano durante la loro riconquista. Il Coordinamento di Palmyra [ndr. rete locale di attivisti e residenti della città], in particolare, ha denunciato che le stesse rovine, oltre alle zone residenziali della città, sono state duramente colpite dall’offensiva. Quanto ritiene che i danni al sito archeologico siano anche ascrivibili all’offensiva che, ricordiamolo, è stata portata avanti proprio per liberare la città, quindi per tutelare quelle rovine?
S: Questa domanda mi dà in realtà la possibilità un po’ di allargare il discorso, non solo limitandolo a Palmyra, perché chiaramente l’ISIS è uno dei mali assoluti di questo conflitto e il suo modo volontario e programmato di distruggere alcuni tra i siti principali, non solo siriani ma anche iracheni, è sicuramente una cosa da condannare e che fa inorridire la comunità scientifica internazionale, però per ragionare bene non ci si può fare prendere “dalla pancia” e quindi rispondere a quello che fa l’ISIS “con la pancia”, ma bisogna un po’ ragionare. Se si parla di distruzioni dei beni archeologici, artistici e storici siriani bisogna farlo a tutto tondo, allora non si può dire che rispetto alle distruzioni deliberate dell’ISIS, tutto il resto va bene, no? Innanzitutto l’ISIS ci fa vedere quello che ci vuole far vedere, quindi quelle distruzioni, che vengono riprese, filmate, messe sulla loro pubblicazione mensile, che è Dabiq, hanno appunto lo scopo di essere mostrate a noi e di colpire noi, quindi al di là che loro abbiano delle motivazioni insite nel gesto che fanno, di natura ideologica, il loro scopo è quello di colpire noi. Nel numero 9 o 8 di Dabiq, adesso non ricordo, relativamente alla distruzione di alcuni siti iracheni, loro dicono: “Gli occidentali sono arrivati, ci hanno insegnato l’archeologia ed hanno usato l’archeologia per creare delle coscienze nazionali”. Loro le coscienze nazionali, irachene e siriane, non le riconoscono, quando distruggono Sykes-Picot fanno un atto politico, ossia abbattono due Stati che sono stati creati in modo artificiale dalle potenze mandatarie, francese e inglese, nel 1916. Quindi questi atti, prima che una valenza religiosa, hanno una valenza politica. Chiusa la parentesi.
Dicevo che la distruzione delle opere e dei monumenti va contestualizzata nel conflitto siriano, perché ci sono delle operazioni di distruzione deliberata come quelle dell”ISIS che abbiamo visto a Palmyra, poi ci sono quelle che fanno parte delle azioni belliche durante il conflitto, e la nostra coscienza in qualche modo è portata a considerare lecite le distruzioni che vengono compiute in un teatro di guerra. Però fino a che punto sono lecite? Ossia, fino a che punto un atto di guerra, che colpisce un sito archeologico o una rovina, è accettabile? Qual è il discrimine tra un atto deliberato e un’azione bellica che non lascia alternativa? Prima della conquista di Palmyra, abbiamo visto tutti, ci sono molteplici video di raid russi che colpiscono sia la città, ricordiamolo: con gli abitanti dentro, c’erano 15.000 persone prima della riconquista di Palmyra e nel momento in cui l’ISIS conquista Palmyra il governo siriano e i russi non fanno distinguo tra ISIS e popolazione civile che rimane, perché bombardano la città e per un mese, nonostante il silenzio di molta stampa, sono arrivati video, filmati, denunce di attivisti di Palmyra che denunciavano questi bombardamenti a danno della popolazione civile. Nel tentativo di recuperare la città è stato bombardato il castello mamelucco, la fortezza di Fakhr-al-Din al-Ma’ani.
Allora, è chiaro che una fortezza è un luogo alto, è strategico, e come tale viene bombardata, però io non so quanto effettivamente fosse necessaria quell’opera, un bombardamento aereo non fa bene a una fortezza di quel tipo. Allora, come occidentali accettiamo questo tipo di attacco perché fa parte di un’operazione bellica, ma è accettabile? Non lo so, lascio la domanda generale. Allo stesso modo è stato bombardato ripetutamente dall’aviazione siriana il Krak des Chevaliers, questa bellissima fortezza sulla costa [ndr. si trova sul lato costiero del governatorato di Homs, a meno di 50 km dal mare] costruita dall’Ordine degli Ospitalieri al tempo delle Crociate. Certo, tutta la zona era in mano al fronte ribelle, il villaggio vicino vedeva ancora popolazione civile che abitava all’interno, tutta la zona è stata bombardata in modo massiccio. I russi a settembre-ottobre bombardano ampiamente la zona dello Jebel Zawiya, il massiccio calcareo, che ha visto lo sviluppo nel II-III-IV secolo delle comunità monastiche bizantine e dei villaggi bizantini. Chi è stato in Siria conoscerà sicuramente Serjilla, al Bara, al Dana ecc… [ndr. note come “Città Morte”, sono vere e proprie città fantasma, rimaste pressoché intatte]; è una zona che si trova a ovest di Idlib e di Aleppo. Bene, il sito di Shansara [o Chemshara], [che] è stata una città bizantina, è stato completamente raso al suolo da un bombardamento russo. E’ lecita quella distruzione? Perché non viene stigmatizzata dall’UNESCO? Va ricordato che le “Città Morte” bizantine erano sito dell’UNESCO dal 2011. Allora, nel caso di Palmyra siccome c’è l’ISIS si parla di “liberazione”, però chi libera Palmyra allo stesso tempo compie distruzione verso quei monumenti che su Palmyra vanno tutelati, ma da altre parti in realtà questa tutela non vale più. Insomma, questo discorso è molto ampio e anche complesso. Diciamo che siamo anche ambigui nel modo di gestire e nel ragionare a volte, no? Su “liberazione”, “distruzioni”, chi le fa, chi non le fa.
Aggiungo solo un ultimo punto: noi siamo abituati a considerare le distruzioni macroscopiche, quindi grossi monumenti che subiscono danni, non so, la grande moschea di Aleppo, il minareto, la cittadella di Aleppo, le rovine di Palmyra; vi è però una serie di danni che vengono fatti al patrimonio storico, artistico e archeologico della Siria, in questo caso, che per gli archeologi sono altrettanto gravi, e sono gli scavi clandestini. Siamo abituati a considerarli un danno collaterale, la popolazione di alcune zone rurali non sapendo più come vivere opera questi scavi clandestini, per vendere gli oggetti all’estero tramite ricettatori eccetera, oppure c’è l’ISIS che ci hanno detto tutti che effettivamente ha delle squadre di scavatori clandestini che hanno lo scopo anche loro poi di vendere all’estero questi oggetti. In realtà, un collega che si chiama Jesse Casana, un archeologo, che si occupa di immagini satellitari, ha preso in esame 1.400 immagini satellitari di siti siriani distribuiti in modo uniforme in tutto il territorio siriano. Su 1.400 siti, ha visto che 1.289 hanno subito scavo clandestino, illegale. Quindi distruzioni massicce, [in] alcuni di questi siti. La città più nota è Apamea, che sembra una groviera da come è costellata di piccoli crateri adesso. Bene, se si analizzano questi dati si vede che il numero principale di scavi clandestini è fatto (quasi il 30%) nelle zone sottoposte al controllo dell’YPG, cioè i curdi [ndr. braccio armato del partito curdo PYD], e dei ribelli. Questo vuol dire che il territorio non è saldamente controllato. Però il dato più interessante è che se si va a vedere quali sono i siti in cui lo scavo è stato fatto in modo pesante e massiccio, quindi il 90% del sito è stato scavato in modo illegale, quindi danneggiato totalmente, si vede che il 42% sta in territorio dell’ISIS e il 23% nel territorio del regime, mentre una percentuale intorno al 10%, quindi molto più bassa, nei territori ribelli e dell’YPG. Cosa dice Jesse Casana? Dice che le immagini sono chiare in questo senso, ossia che nei territori controllati dal regime e dall’ISIS è in atto una distruzione sistematica tramite lo scavo clandestino e c’è una forte associazione tra i siti occupati dall’esercito siriano e i saccheggi. Questo lo dice un collega che non parteggia per nessuna parte e che ha semplicemente analizzato delle immagini satellitari.
Quindi quando si parla di liberazione di Palmyra, con riferimento alle rovine e non tanto alla popolazione, che diciamolo, della popolazione civile di Palmyra non interessa nulla a nessuno, non è interessato per due mesi, un mese, quando è stata bombardata, non interessa adesso perchè la città è stata “liberata”, ma non c’è più un abitante, sono scappati a Raqqa, a Deir Ez Zor (in territorio ISIS) oppure in zone controllate dai ribelli; ad Azaz [ndr. a nord di Aleppo] molti sono stati accolti. Non sto dicendo che ISIS è meglio e il regime è peggio, è una brutta gara tra brutti contendenti; sto dicendo che dobbiamo stare attenti a come utilizziamo i termini: quando noi consideriamo Palmyra liberata perchè viene presa dall’esercito governativo ed è meglio dell’ISIS che ha distrutto i templi, su questo siamo d’accordo, poi però dobbiamo valutare a tutto tondo la questione delle distruzioni.
Z: Ecco, infatti, alla luce di questa ottima panoramica, vengono spontanee delle domande anche sul tempismo della liberazione di Palmyra, che avviene dopo 10 mesi di dominio dell’ISIS. Verrebbe da chiedersi anche come fece l’ISIS, nel maggio 2015, a conquistare Palmyra e arrivare così alle porte di Homs, e soprattutto come mai il regime abbia atteso ben 10 mesi senza lanciare nessuna offensiva contro l’ISIS, senza tentare di liberare questa città che ora è una grande vittoria per l’esercito siriano, ma avviene in un momento in cui da una parte c’è il cessate il fuoco che, comunque, sta tenendo, i colloqui di pace che sono ripresi, ma sono ancora in stallo, quindi cosa pensa lei del tempismo, e delle modalità anche, di questa supposta liberazione?
S: Io sul perché venga presa adesso, e perché sia stata poi lasciata in modo così facile alla conquista dell’ISIS, non vorrei fare troppe speculazioni, nel senso che a volte alcune dinamiche reali non le conosciamo. Effettivamente alcuni battaglioni dell’esercito siriano non sono così forti e hanno perso molti elementi. Non dobbiamo dimenticare che principalmente l’esercito siriano adesso pesca dalla comunità alawita, ad esempio; i sunniti si trovano principalmente nelle zone controllate dai ribelli, o hanno defezionato. Ci sono moltissime pagine web dove si può vedere che la comunità alawita, anche dei soldati, al di là della propaganda ufficiale che tende a compattare, a mettere tutti d’accordo, e anche molte famiglie sono molto arrabbiate per le strategie che vengono condotte, per come questi ragazzi, che alla fine sono ragazzi di 20 anni, vengono costretti alla ferma di leva obbligatoria, vengono mandati spesso in operazioni sul fronte [dove] muoiono, quindi c’è una critica interna che però è difficile leggere all’esterno. Quindi voglio dire che l’esercito pesca principalmente dalla comunità alawita, che numericamente è molto bassa, e quindi si trovano in grosse difficoltà, quindi io non escludo che avessero veramente problemi di organico, allora, un anno fa quasi, a controllare la città. Non dimentichiamo che adesso la riconquista è avvenuta con la copertura aerea russa; l’esercito siriano senza una copertura aerea adeguata non può fare nulla, e viceversa senza truppe di terra una copertura aerea è inefficace. Quello che vorrei dire, però, per sottolineare questo aspetto, è che la riconquista di Palmyra, quando noi diciamo “esercito siriano”, dobbiamo dire che avviene con le truppe scelte dell’esercito siriano, che sono le Suqur al-Sahara, i Falconi del Deserto, [ma anche] con le truppe sciite, improntate in senso confessionale e straniere, perché avviene con battaglioni iracheni e afghani anche, si sono viste le bandiere di battaglioni afghani a Palmyra, [ndr. e anche con le milizie sciite libanesi di Hezbollah] e questo sottolinea il fatto che l’esercito siriano sia in grosse difficoltà di organico, [e che] senza questo apporto esterno degli alleati veramente abbia delle difficoltà.
Vorrei aggiungere un’ulteriore cosa, non più tardi dell’altro giorno: nell’immaginario collettivo di queste brigate strette attorno al Presidente siriano, sono 3 i generali siriani che controllano il territorio e che sono osannati come degli eroi all’interno del regime o di chi lo sostiene. Uno è il generale [Issam] Zaher Eldin, che combatte da Deir Ez Zor; uno era la “Tigre del Deserto”, Suheil Al Hassan, che viene mostrato e fotografato come il liberatore di Palmyra. Va detto però che Suheil Al Hassan si dice sia morto in realtà nel tentativo di resistere all’attacco della base militare di Kuweires, nella zona di Aleppo, ancora a Novembre. Da allora non si hanno sue notizie, adesso ricompare una persona che è completamente diversa e che viene spacciata per lui. L’altro giorno sembra sia morto in un attacco da parte della Nusra o di una brigata ribelle del nord, non ricordo il nome, Ali al-Kayalli, ossia Mihrac Ural, che è un comandante di una brigata connotata in senso alawita, lui è un alawita turco e, per farla breve, è responsabile della strage di Banyas e al-Bayda che ha visto la morte di almeno 250 persone [ndr. solo ad al-Bayda, secondo un’inchiesta ONU, in totale le vittime sarebbero circa 450] tra cui donne e bambini, sgozzati e dati alle fiamme. Il tentativo era quello di ripulire un’enclave sunnita in un territorio a maggioranza alawita. Va detto che la strage è lui stesso a confessarla in un video reso pubblico su Youtube, quindi nulla di segreto, non sono accuse sparate nel vuoto, è tutto nero su bianco.
Cosa voglio dire? Voglio dire che l’esercito ha perso in pochi mesi due dei principali generali ed è costretto a riconquistare questo territorio, peraltro a maggioranza sunnita, con delle truppe improntate in senso sciita, e questo è un altro problema di quella che può essere la vittoria di Assad o la riconquista che qua in Occidente si fa fatica a comprendere. Un territorio a maggioranza sunnita che si trova sottoposto al controllo dell’ISIS, sebbene la gente odi essere sotto il giogo dell’ISIS, difficilmente accoglierà come liberatore un esercito iracheno, afghano, connotato in senso sciita. Non è un caso che molte persone che scappino dai territori controllati dall’ISIS, durante gli attacchi aerei, scappino in un altro territorio controllato dall’ISIS, oppure in territori controllati dai ribelli, se sono persone appartenenti alla comunità sunnita. Io ho testimonianza diretta di alcuni amici: ho un amico che per un anno scappava continuamente dagli attacchi aerei russi, siriani, spostandosi in città controllate dall’ISIS. Ma io gli dicevo: ma come, tu hai l’YPG, i curdi, lì vicino, scappa dai curdi. E lui si sentiva comunque, nonostante stesse male, parlasse malissimo dell’ISIS, si sentiva più tranquillo a scappare in un territorio controllato dall’ISIS che in un territorio controllato dal governo siriano. Quindi insomma, i ragionamenti vanno approfonditi e non si può mettere tutto nero su bianco, buono-cattivo, la situazione è molto più complessa di come viene raccontata.
di Samantha Falciatori