Di Samantha Falciatori
La situazione siriana è un inferno. Capire cosa sta succedendo è doveroso in quanto esseri umani e indispensabile per la comprensione di quei fenomeni che travalicano i confini naturali di quella terra. Per questo motivo la nostra Rivista seguirà più da vicino la guerra siriana, che in realtà sono tante guerre diverse e sovrapposte, in modo da fornire un quadro sempre aggiornato e il più chiaro possibile.
La Siria è una scacchiera in cui si scontrano gli interessi di molte potenze. Una di queste è l’Iran, che sin dall’inizio è intervenuta a fianco del Presidente Bashar Al-Assad. Ecco una panoramica sul coinvolgimento iraniano in Siria, per capire meglio in che direzione sta andando il conflitto.
“La Siria è la nostra 35° provincia”, ha dichiarato nel Febbraio 2014 Mehdi Taeb, ex comandante della Guardia Rivoluzionaria Iraniana (IRGC). “Se dovessimo scegliere tra la difesa della provincia di Khuzestan [nda: in Iran] o della Siria, sceglieremmo la Siria”. Non è il commento isolato di un alto funzionario iraniano: più recentemente (29 gennaio 2015) il Generale Mohammad Bagherzadeh ha dichiarato: “I nostri confini [..] ora si estendono dallo Yemen al Mediterraneo”. Di fatto, negli ultimi anni l’Iran ha esteso la sua influenza ben oltre i suoi confini geografici, consolidando i rapporti con gli Hezbollah libanesi e il governo siriano e intervenendo recentemente in Iraq e Yemen, dove il sostegno ai miliziani Houti risale, secondo un rapporto dell’ONU, al 2009. Lo scorso gennaio la conferma ufficiale della presenza di militari iraniani in queste zone è giunta dal Vice-capo dell’IRGC, il tenente generale Hossein Salami, ma la presenza di truppe iraniane (ed Hezbollah) in Siria non era un segreto ed è stata determinante per preservare il governo siriano al potere. Ma perchè?
Perchè la Siria è una risorsa prioritaria per l’Iran, è il nucleo dell’“asse della resistenza” contro Israele, è l’ingranaggio geostrategico di collegamento con i suoi alleati Hezbollah e Hamas: l’alleanza con gli Assad ha permesso all’Iran di spostare negli anni uomini, armi e denaro a questi gruppi attraverso il territorio siriano. La strategia iraniana in Siria ha lo scopo di mantenere Assad al potere il più a lungo possibile e al contempo creare le condizioni per garantire a Teheran accesso al territorio siriano anche se Assad dovesse cadere.
Il coinvolgimento iraniano negli affari interni siriani risale al 2011, cioè allo scoppio delle proteste pacifiche che dal 15 marzo 2011 inondarono le città siriane chiedendo diritti e riforme dopo i sanguinosi fatti di Deraa. Inizialmente, Teheran fornì al governo di Assad sia supporto tecnico che militare, inviando personale dell’IRGC a rafforzare la capacità della Siria di reprimere i manifestanti. Successivamente, ha intensificato l’invio di armi, violando l’embargo imposto dall’ONU, e ha cominciato a inviare truppe d’elite in territorio siriano, come la Quds Force, l’Intelligence e le Law Enforcement Forces. Il loro coinvolgimento nelle repressioni in Siria non fecero tardare ulteriori sanzioni. La prima prova tangibile della presenza di truppe iraniane in Siria si ebbe nell’agosto 2012, quando l’Esercito Siriano Libero (FSA, il braccio armato della Rivoluzione siriana costituito principalmente da disertori dell’esercito regolare) catturarono 48 membri dell’IRGC che l’Iran prontamente identificò come “pellegrini”.
Da allora, l’intervento iraniano si è fatto sempre più massiccio in termini economici (l’inviato Speciale ONU per la Siria, Staffan de Mistura, stima che l’Iran abbia finora speso annualmente 6 miliardi $ in aiuti economici e militari-anche a causa dell’erosione delle forze regolari siriane), con una recente estensione della linea di credito. In 4 anni, si stima che l’esercito siriano si sia ridotto da 250,000 unità a 125,000 , tra morti, feriti e disertori. Per compensare queste perdite l’Iran ha anche contribuito a creare una forza paramilitare, la Forza di Difesa Nazionale, composta da lealisti del governo di Assad in prevalenza alawiti (l’etnia di matrice sciita cui appartiene Assad).
Queste unità hanno ricevuto un addestramento specifico (non solo in Siria ma anche in Iran) alla guerriglia urbana, a cui le forze regolari siriane erano del tutto impreparate. Ma oltre a ciò, l’Iran ha anche coordinato l’invio di combattenti sciiti dall’Iraq e dall’Afghanistan. L’invio di mercenari afghani è emerso nel 2014, ma secondo il Comitato Siriano per i Diritti Umani risalirebbe già al 2012, cioè da quando le forze dell’opposizione cominciarono a catturare in battaglia soldati dai chiari tratti somatici asiatici. Secondo The Washington Institute la maggior parte di questi afghani appartiene alla minoranza etnica sciita degli Hazara che ha trovato rifugio in Iran. In cambio di uno stipendio mensile e della cittadinanza iraniana, questi combattenti sono stati trasferiti in Siria a combatter a fianco delle forze siriane.
Negli ultimi anni, però, la presenza iraniana in Siria ha raggiunto livelli invasivi: non si limita ad affiancare le forze siriane nella pianificazione e attuazione dei piani militari, ma di fatto le gestisce. Questo sta generando crescente malcontento sia tra i soldati siriani (che si lamentano del fatto che le milizie sciite siano meglio armate e pagate), sia tra i comandanti siriani che sentono minacciata la propria autonomia. Ad Aprile, Munzer al-Assad, cugino del Presidente, è stato arrestato con l’accusa di cospirazione. Un mese prima il capo dei servizi segreti, Rafiq Shehadeh, era stato licenziato dopo aver protestato pubblicamente contro il crescente ruolo dell’Iran nelle operazioni militari siriane assieme a Rustum Ghazaleh, generale ed ex capo della direzione della sicurezza politica dell’esercito, morto a metà Aprile in circostanze poco chiare.
Per capire fino a che punto è esteso il potere iraniano sulle truppe siriane si pensi che l’Operation Room sul fronte sud di Idlib è recentemente passata completamente in mano all’IRGC, dopo che il 30 maggio scorso il capo della Quds Force, Qassem Soleimani, ha fatto una visita a sorpresa sul fronte di Latakia annunciando che “il mondo resterà sorpreso da ciò che noi e la leadership militare siriana stiamo preparando per i prossimi giorni”. Il 4 giugno fonti libanesi annunciavano l’arrivo in Siria di 15,000 tra soldati iraniani, milizie sciite irachene e mercenari afghani per combattere a fianco dell’esercito siriano, salvo poi la smentita di Tehran avvenuta l’11 giugno. Finora tuttavia di sorprese non ce ne sono state se non dal fronte dei ribelli, che hanno conseguito importanti vittorie a Idlib, Deraa, Qalamoun. Anzi, il 6 giugno scorso le truppe siriane si sono ritirate dai checkpoint di Mahmbel e Bsanqoul lasciando terreno ai ribelli. Tre ufficiali siriani (sunniti) sono poi stati giustiziati dai comandanti iraniani con l’accusa di “diserzione e tradimento”. Più recentemente, il 1° luglio, si è diffusa la notizia di scontri senza precedenti tra i residenti di due villaggi alawiti pro-regime (Al-Bared e Al-Qahira, ad Hama) e le forze di sicurezza siriane appoggiate dalle truppe iraniane, che hanno causato morti e feriti. Gli scontri sarebbero esplosi dopo una campagna di arresti ordinata dai comandanti iraniani e dovuta al rifiuto dei giovani di quei villaggi di arruolarsi. Non sono casi isolati: sempre più giovani alawiti rifiutano la coscrizione obbligatoria.
Anche a causa della mancanza di uomini che la coscrizione obbligatoria non riesce a compensare (non dimentichiamo che il 70% della popolazione siriana è sunnita), dunque, le truppe di Assad hanno perso molto terreno negli ultimi mesi, rendendo la dipendenza all’aiuto iraniano sempre più evidente. Ma fino a che punto l’Iran continuerà a investire su un alleato ormai sfinito?
La priorità dell’Iran sembra ora concentrata a limitare le perdite in Siria e a proteggere il corridoio che collega la regione costiera alla catena montuosa. Per fare ciò, l’IRGC ha rilocato le sue unità e le milizie sciite dal nord della Siria lungo la costa, a difesa dell’asse Latakia-Damasco e in sostegno agli Hezbollah a Qalamoun. Controllare queste aree garantirebbe il corridoio strategico di cui l’Iran ha bisogno per proteggere i suoi interessi in Siria. Tuttavia, anche l’economia iraniana è in difficoltà. Decisivo sarà l’accordo sul nucleare tra Iran e USA: potrebbe comportare un rilassamento delle sanzioni contro l’Iran, cosa che permetterebbe di rafforzare le sue milizie in Siria, o al contrario, rendere ancora più precaria la condizione di Al Assad. In ogni caso risulta evidente che l’Iran non rinuncerà ai suoi interessi in Siria ed alla sua presenza nella regione: qualunque negoziato che non tenga conto di ciò sarà destinato a fallire.