La situazione siriana è un inferno. Capire cosa sta succedendo è doveroso in quanto esseri umani e indispensabile per la comprensione di quei fenomeni che travalicano i confini naturali di quella terra. Per questo motivo la nostra Rivista seguirà più da vicino la guerra siriana, che in realtà sono tante guerre diverse e sovrapposte, in modo da fornire un quadro sempre aggiornato e il più chiaro possibile.
Qual è il costo per la Siria dell’alleanza con l’Iran? L’ingerenza di Teheran comincia a preoccupare anche Damasco e i russi non stanno a guardare: strategie a confronto.
La paura dei suoi nemici è stata la ragione principale per cui Bashar Al-Assad ha formalmente chiesto aiuto a Mosca. “Ma subito dopo è venuto il timore dei suoi amici”, avrebbe dichiarato, scegliendo l’anonimato, un funzionario russo che ha lavorato a lungo presso l’ambasciata russa a Damasco, secondo quanto riporta Der Spiegel. Gli amici in questione sono gli iraniani, tra i principali alleati del governo siriano. Secondo questo funzionario:
“Assad e coloro che lo circondano hanno paura degli iraniani, diffidano degli obiettivi di Teheran, per cui Assad al potere potrebbe non essere più così fondamentale. Ecco perché i siriani hanno assolutamente voluto noi [russi] nel Paese”.
Ma come è possibile, se è proprio grazie alle milizie iraniane che le truppe siriane hanno mantenuto le loro posizioni e stanno, seppur lentamente, avanzando? È possibile se si osservano gli obiettivi perseguiti dalla strategia iraniana, che ora sembrano più chiari anche al governo siriano.
Avevamo analizzato qui fino a che punto il sostegno iraniano avesse di fatto creato una dipendenza (non solo militare) con Damasco, e come le forze iraniane avessero di fatto preso il controllo diretto delle operazioni condotte dall’esercito siriano contro i ribelli (soprattutto a Idlib), oltre che di alcune basi e aeroporti militari come quelli di al-Sin, T4, Domair e Mezzeh (Damasco). Ricordando le parole di Mehdi Taeb, ex comandante dell’IRGC (i Guardiani della Rivoluzione), che nel 2014 dichiarò “La Siria è la nostra 35° provincia”, non stupisce che la crescente ingerenza degli iraniani abbia scatenato il risentimento di alcuni generali e ufficiali siriani, le cui proteste sono state accolte con arresti, misteriosi decessi, omicidi e in alcuni casi persino con l’esecuzione da parte di comandanti iraniani.
La dipendenza di Assad nei confronti degli iraniani è tale che il Presidente stesso non sembra essere più in grado di garantire protezione ai suoi fedelissimi. Non va sottovalutata la strategia iraniana di addestrare corpi paramilitari, (come la Forza di Difesa Nazionale), composta da lealisti del governo di Assad in prevalenza alawiti, diventati milizie ingestibili che spesso si scontrano con le forze di sicurezza siriane, come avvenuto ad Hama e Tartous, dove la seria difficoltà affrontata dal governo siriano ha persino spinto la Russia a esprimersi sull’argomento, condannando l’anarchia di certe milizie presenti “a difesa” del regime di Assad. Così come non va sottovalutata la strategia di rimappatura etnica nella capitale: si rileva la crescente presenza di mercenari afghani tra le file delle milizie iraniane che si stanno stabilendo con le loro famiglie a Damasco. La stessa cosa la stanno facendo gli iraniani, che acquistano terreni a Damasco e vi si stabiliscono. Non solo: a Damasco, Latakia e Jabla si starebbero moltiplicando centri di istruzione sciiti, generando malcontento tra le comunità sunnite e alawite presenti in quelle aree. Talib Ibrahim, giornalista siriano alawita, riassume lo stato d’animo generale con queste parole:
“Assad vuole gli iraniani come combattenti, ma questi interferiscono sempre più ideologicamente negli affari interni siriani. Cosa che i russi non fanno”.
Per l’Iran, la Siria è strategicamente decisiva dato che la presenza (di Teheran) nei deserti dell’Arabia assicura l’espansione sciita all’interno di un mondo prevalentemente sunnita.
Alla luce di questi dissidi interni al regime siriano, le dichiarazioni del funzionario russo assumono un significato più chiaro. Russia e Iran, infatti, sono i due principali alleati di Damasco, ma hanno una differenza di approccio significativa. Mentre i russi non hanno destabilizzato la Siria e le sue forze armate, l’Iran ha perseguito un progetto di frammentazione, tant’è che Assad non controlla più parte delle sue milizie che ad oggi rispondono più ai comandanti iraniani che a quelli siriani. Gli incidenti che avvengono spesso nell’enclave alawita tra milizie pro-regime (fuori controllo) e le forze di sicurezza siriane ne sono un esempio lampante. Uno dei punti imprescindibili per la Russia (ma anche per la comunità internazionale, come stabilito durante i colloqui di Vienna) è l’unità della Siria, me le cose diventano meno chiare quando si tratta di capire le intenzioni dell’Iran. In Siria le differenze etnico-religiose sono state deliberatamente esacerbate e sfruttate per dividere il territorio in zone di influenza e permettere di fatto alle milizie iraniane il controllo su quelle in mano al governo siriano. E qui Mosca e Teheran potrebbero non essere sulla stessa lunghezza d’onda.
Se ISIS è una minaccia, va rilevato che esso non può che prosperare in un ambiente anarchico e diviso. Per questa ragione i russi si spenderebbero per rafforzare la legittimità di Assad e far sì che tenga saldamente sotto il suo controllo almeno le zone chiave (qualunque siano i piani a lungo termine su di lui). L’Iran, al contrario, non ha sinora mostrato tale inclinazione. Anzi, per consolidare la sua influenza in Siria necessita proprio di un governo debole, dipendente dall’aiuto (militare ed economico) di Teheran. Queste condizioni permetterebbero all’Iran non solo di esercitare la propria influenza in Siria e Libano, ma anche di avvicinarsi a Israele.
Tutto questo non significa che contrasti tra Russia e Iran siano alle porte, anzi, stanno attuando un’offensiva su Hama, Idlib e Aleppo congiuntamente. Entrambi vogliono salvare il regime siriano seppur con diverse motivazioni: la Russia vuole proteggere i suoi interessi in Siria concentrati nella zona costiera (come il porto di Tartous) in mano ad Assad; l’Iran vuole estendere e consolidare la sua influenza su Damasco, o meglio sul governo di Damasco, anche a fronte delle ingenti perdite (generali di spicco in particolare) perché, come avevamo visto qui, quest’influenza è una risorsa geostrategica prioritaria di collegamento con i suoi alleati Hezbollah e Hamas. Questo implica un’ingerenza nella questione siriana che evidentemente comincia a preoccupare non solo i generali siriani, ma il regime di Assad stesso. È forse per questo che Damasco si è rivolta a Mosca: non solo per un efficace supporto aereo, ma anche per avere sul terreno una forza che possa fare da contraltare allo strapotere dei comandi iraniani e allo stesso tempo contenere l’iranizzazione della Siria.
di Samantha Falciatori