L’avvicendamento politico in Macedonia, dove i socialdemocratici sono tornati al governo dopo più di una decade, ha modificato le priorità della politica estera del Paese. Al nazionalismo esasperato della VMRO-DPMNE di Gruevski si è sostituita la volontà di risolvere i problemi di vicinato che dal 2005 hanno frenato l’adesione macedone all’Unione Europea.
Le scorse elezioni anticipate, necessarie per porre fine alla crisi politica iniziata nel 2014, hanno notevolmente cambiato le priorità di politica estera del Paese. Il nuovo esecutivo a guida socialdemocratica ha infatti siglato un importante accordo di buon vicinato con la Bulgaria, storico nella sua essenza, e ha intenzione di riprendere i negoziati con la Grecia per la spinosa questione del nome.
Sono questi i primi due passi che la Macedonia vuole compiere per poter essere a tutti gli effetti riconosciuta sul piano internazionale e poter entrare in organizzazioni internazionali come la Nato e l’Unione Europea. Seppur questi erano obiettivi del precedente governo Gruevski, leader del partito conservatore-nazionalista VMRO-DPMNE, non si è mai palesata una reale volontà di risolvere le controversie con i vicini bulgari e greci. È proprio da questi due Paesi che passa il futuro della Macedonia.
La Grecia, fin dall’indipendenza di Skopje da una Jugoslavia sull’orlo della guerra nel 1991, non ha mai riconosciuto a pieno il suo vicino settentrionale. Le questioni si riducono a una, importante per entrambi i Paesi: la legittimità del nome “Macedonia”. Atene infatti non accetta l’utilizzo di questa denominazione da un altro Stato, richiamando su di sé tutta l’eredità storica di Alessandro Magno.
Ci volle l’intervento delle Nazioni Unite, nel 1995, a calmierare le tensioni tra i due Paesi con una soluzione temporanea: chiamare la Macedonia con il nome di Former Yugoslav Republic of Macedonia. Una soluzione, per l’appunto, temporanea.
Sono aumentati proprio negli ultimi tempi i contatti tra Atene e Skopje per cercare di rilanciare il dialogo e poter riaprire i negoziati. Se si trova una soluzione accettabile per tanti, la Grecia darà il suo assenso all’ingresso della Macedonia nella NATO e nell’Unione Europea che, dal 2005, è Paese candidato all’adesione.
La risoluzione della questione del nome è considerata uno dei punti fondamentali per l’ammissione della Macedonia all’interno delle istituzioni europee. La sua risoluzione, tuttavia, deve andare di concerto con l’adempimento di altri obblighi che l’UE pone al Paese, specie sul piano della politica interna. La Macedonia, pertanto, non può permettersi di rimanere arroccata su posizioni estreme.
La Grecia, dal canto suo, non ha però mostrato spesso ampi margini di manovra. Seppur concorde a trovare una soluzione, nemmeno i politici legati al governo di Tsipras, ideologicamente più affini a una risoluzione della controversia, si sono impuntati su paradigmi nazionalistici e poco inclini al compromesso. Certamente, per l’esecutivo Tsipras, ha contato parecchio l’aver ricevuto l’appoggio dai parlamentari del partito nazionalista-populista ANEL, che sulla questione hanno da sempre ribadito il loro diniego a qualsiasi forma di dialogo.
Con la Bulgaria i rapporti sono stati, fin da subito, certamente più distesi. Sofia ha riconosciuto immediatamente il nuovo vicino, seppur considerandoli parte integrante della loro storia, cultura e lingua. L’accordo di buon vicinato è storico perché è il primo. Una vittoria per entrambi i Paesi, che hanno concesso qualcosa alla controparte. La Bulgaria ha accettato la stesura in macedone, non considerandolo più un mero dialetto, e Skopje ha sostenuto la comunanza della storia di Macedonia e Bulgaria. Una storia comune, popoli fratelli.
L’accordo sottoscritto ha una duplice valenza: non è solo utile ai governi, ma è utile anche alle organizzazioni internazionali. Queste vedranno certamente un cambio di rotta nell’operato della politica estera di Skopje, più volto al dialogo che allo scontro. La VMRO-DPMNE era infatti più interessata allo scontro che all’incontro, portando il Paese a fossilizzarsi su posizioni che lo hanno isolato negli ultimi anni.
La direzione che il primo ministro Zaev e la sua squadra di governo è chiara. Bisogna guardare a ovest, a Bruxelles. Ma per farlo, bisogna prima risolvere i problemi con i vicini. La Russia, che seppur non interessata più di tanto alla regione balcanica, aveva provato, durante le proteste e l’attacco terroristico del 2015, a condannare “ingerenze esterne” e “rivoluzioni colorate” e rimane ora in attesa di vedere fin dove riesce a spingersi Skopje. Rischiando di perdere, dopo il Montenegro, anche la Macedonia.
di Edoardo Corradi