La guardia costiera russa ha aperto il fuoco e posto sotto sequestro tre imbarcazioni della marina ucraina accusate di esser entrate senza autorizzazione in acque territoriali russe, in quello che si configura come l’incidente di maggior importanza fra i due Paesi sin dal 2014.
Domenica 25 novembre, la guardia costiera russa ha aperto il fuoco e posto sotto sequestro due cannoniere e un rimorchiatore della marina ucraina, che avanzavano verso lo stretto di Kerch, al largo della Crimea, nel tentativo di dirigersi verso i porti ucraini nel mar d’Azov, bacino su cui Russia e Ucraina esercitano una sovranità condivisa, ai sensi di un trattato bilaterale sottoscritto da ambo le parti nel 2013.
Tale incidente è lo scontro di maggior portata avvenuto nel mar d’Azov nell’ultimo anno e la prima volta (dall’annessione illegale della Crimea da parte della Federazione Russa), che Mosca ammette pubblicamente di aver aperto il fuoco contro forze armate ucraine.
Leggi anche: Ucraina: i soldati russi che non dovrebbero esserci.
Per anni, il conflitto fra Russia e Ucraina si era concentrato solo nelle regioni separatiste dell’Ucraina orientale, tuttavia, negli ultimi mesi, la tensione nel mar d’Azov era in continua crescita, con la guardia costiera russa che ha intensificato i controlli nei confronti delle navi ucraine che transitano nello stretto di Kerch, attuando un blocco parziale del mar d’Azov, da cui passa l’80% dell’export ucraino.
La Russia ha iniziato il suo tentativo di aumentare la propria influenza nel mar d’Azov nel 2015, quando ha dato il via alla costruzione del ponte sullo stretto di Kerch, che collega la Russia continentale alla Crimea. L’altezza del ponte ha anche ostacolato la navigazione in ingresso e in uscita dai porti di Mariupol e Berdiansk. Infatti, l’opera è alta solo 33 metri e non permette alle imbarcazioni più grandi di transitare a pieno carico.
La tensione nella zona è cresciuta dallo scorso maggio, quando la guardia costiera russa ha iniziato a fermare e ritardare il transito delle navi mercantili ucraine, imponendo ingenti costi a tali imbarcazioni. L’accordo del 2003 prevede un diritto di condurre ispezioni casuali, ma non pone le basi giuridiche per un sistema di controlli sistematico.
Già prima dell’incidente di domenica 25 Novembre, il rappresentante per gli affari esteri dell’Unione Europea Federica Mogherini aveva chiesto alla Russia di porre termine alle eccessive ispezioni nel mar d’Azov, pena l’inasprimento delle sanzioni. Tuttavia, in una intervista rilasciata al giornale russo Kommersant lo scorso 23 novembre, il viceministro degli esteri russo Grigorii Karasin, affermava che non esisteva nessuna problematica relativa al mar d’Azov, e che la stessa è stata creata ad arte da Kiev e dai suoi ‘padroni occidentali’.
Dichiarando, inoltre, nella stessa intervista, come la Russia fosse pienamente autorizzata a porre in essere quei controlli in quanto “da marzo 2014, la Russia è l’unico Paese costiero presento nello stretto di Kerch, che costituisce acque territoriali interni, su cui la Federazione russa esercita piena sovranità”.
L’incidente nasce proprio dall’accusa da parte di Mosca nei confronti delle imbarcazioni ucraine di aver solcato le acque territoriali russe, senza aver richiesto alcuna autorizzazione in precedenza. Accuse che vengono smentite, tuttavia, da Kiev.
La versione russa degli eventi è fallace per almeno tre ragioni. Innanzitutto, le acque a largo dello stretto di Kerch non sono acque territoriali russe, ma la sovranità su di essi è esercitata in maniera condivisa da Ucraina e Russia, ai sensi del trattato bilaterale siglato dai due Stati nel 2003. In secondo luogo, il segnale di allarme è stato inviato dalla guardia costiera russa, quando le imbarcazioni ucraine si trovavano ad un km dalle acque territoriali russe. Infine, le autorità russe aveva autorizzato il passaggio di navi militari ucraine nel mese di ottobre.
Quali sono le ragioni alla base dell’azione di Mosca?
In primo luogo, l’incidente della scorsa domenica può offrire a Putin un’opportunità di verificare quanto forte sia l’impegno occidentale a difesa dell’Ucraina, in un momento in cui i rapporti fra Washington e Brussels sono sempre più tesi. In tal senso è da notare come dal Presidente degli Stati Uniti non sia avvenuta nessuna ferma condanna nei confronti di Mosca, in netto contrasto con la posizione dell’Unione europea, a pochi giorni del prossimo incontro fra Putin e Trump, ai margini della riunione del G20 in Argentina.
Inoltre, il Presidente russo può sfruttare l’incidente per provare a far tornare a crescere il consenso nei suoi confronti. Secondo un sondaggio del Levada Centre, infatti, il tasso di fiducia nei confronti di Putin sarebbe calato del 20% rispetto al novembre 2017, con solo il 39% dei cittadini russi che dichiarano di aver fiducia nel loro presidente.
Una tesi che appare meno condivisibile è, invece, quella secondo cui tale azione sarebbe intenzionata a screditare il governo Poroshenko e creare instabilità nel Paese in vista delle elezioni del prossimo marzo.
Se c’è qualcuno che potrebbe uscire rafforzato da quest’incidente è proprio l’attuale presidente dell’Ucraina, il quale basa l’intera sua campagna elettorale sullo scontro con Mosca, sui suoi poster elettorali, infatti, giganteggia lo slogan “Esercito, Lingua, Fede”.
La proposta di introdurre la legge marziale può essere facilmente connessa alle difficoltà elettorali di Poroshenko, il quale nei sondaggi si trova a rincorrere l’ex primo ministro Yulia Tymoshenko. Il parlamento ha approvato la proposta di Poroshenko ponendo, tuttavia, dei limiti. In primo luogo, la sua durata sarà limitata a 30 giorni e non agli iniziali 60, permettendo, dunque, il regolare svolgimento delle elezioni; inoltre, tale legislazione sarà in vigore solo in 10 delle 27 regioni dell’Ucraina, ossia i distretti che confinano, con la Russia, le regioni confinanti con la non-riconosciuta Transinistria e le aree bagnate dal mar Nero o Azov.
Nonostante la decisione di Kyiv di introdurre la legge marziale, la quale tuttavia non comporta la dichiarazione dello stato di guerra, sembra difficile che Mosca voglia giungere ad un conflitto aperto con l’Ucraina, vista la presenza di altri fronti aperti, come quello siriano. Tuttavia, i dati OSCE dimostrano come le violazioni degli accordi di Minsk nei territori di Lugansk e Donbass siano all’ordine del giorno.
Allo stesso tempo, appare difficile che Kyiv si spinga a dichiarare lo stato di guerra nel periodo invernale. Tale dichiarazione infatti potrebbe portare i russi a chiudere i rubinetti del gas, costringendo le città ucraine a rimanere al freddo durante il periodo invernale, con risultati negativi non solo per Poroshenko in termini elettorali, ma per l’intera popolazione ucraina.