Abbiamo intervistato Jamila Abouri, italo marocchina di 32 anni, Assessore alle Politiche Sociali del Comune di Bernareggio, piccolo centro della provincia brianzola. Con lei cerchiamo di capire come, nei fatti, vengono gestite le politiche migratorie nel locale, nei comuni e nelle piccole realtà territoriali. Un modo per scoprire cosa c’è dietro i grandi numeri delle migrazioni.
D: Buongiorno Assessore, innanzitutto, e grazie per la sua disponibilità.
R: Buongiorno e grazie a voi per l’opportunità. Sono contenta di poter dare il mio contributo nel fare chiarezza su di un tema che viene spesso discusso e strumentalizzato senza avere le conoscenze sufficienti per poterne parlare.
Il 2015 ha visto l’intensificarsi dei flussi migratori provenienti dalla Libia e, soprattutto, dalla Siria. Le chiedo, qual è la fotografia in numeri dell’anno appena conclusosi? Quante persone hanno attraversato il Mediterraneo negli ultimi dodici mesi? Quante sono riuscite ad approdare sulle nostre coste e quante, invece, si pensa siano morte nel tentativo di attraversarlo?
Iniziamo ricordando a tutti che la migrazione, intesa come lo spostamento in massa di donne e uomini motivato soprattutto dalla ricerca di un miglior standard di vita, è un fenomeno che esiste da secoli come naturale conseguenza di evoluzioni culturali, economiche e sociali. La storia dell’uomo è caratterizzata da una costante mobilità, talvolta di interi popoli, da una regione all’altra della terra.
Tornando al 2015 e ai movimenti migratori che ci hanno visto direttamente interessati, riporterò alcuni dati dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) e dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM). Più di un milione di migranti (1.000.573) hanno raggiunto l’Europa via mare dall’inizio del 2015 e la stragrande maggioranza di coloro che tentano questo viaggio pericoloso, ci conferma l’Unhcr, hanno bisogno di protezione internazionale perché in fuga da guerre, violenze e persecuzioni nel loro paese di origine. Il 49 per cento di loro proviene dalla Siria, mentre il 21 per cento dall’Afghanistan.
Il timore diffuso che l’Italia potesse soccombere sotto i numeri di questo fenomeno incontrollabile si è rivelato infondato: più dell’80 per cento del totale dei migranti è arrivato in Grecia, in particolare sull’isola di Lesbo. In Italia sono approdate 152.700 persone, tutte provenienti dalla Libia, circa 20.000 in meno rispetto al 2014. Colpisce, inoltre, sapere che i bambini rifugiati partiti da Siria e Afghanistan, dalla Nigeria o dall’Eritrea sono un quinto di tutti i rifugiati in viaggio nel 2015, vale a dire più di 200 mila; un quarto se ci si limita ai soli siriani (rapporto Unicef).
Credo che il 2015 appena concluso sarà a lungo ricordato anche per l’ immagine di Aylan Kurdi, il bambino curdo-siriano annegato nel Mediterraneo e il cui corpo fu ritrovato il 2 settembre scorso sulla spiaggia di Bodrum in Turchia. Aylan è uno dei tantissimi bambini che continuano a perdere la vita in quel breve tratto di mare che separa la Turchia dalla Grecia, come in tutti i viaggi dei migranti che dalla sponda sud attraversano il Mediterraneo. Aylan è il simbolo di coloro che quotidianamente trovano la morte inseguendo un sogno chiamato Europa. I numeri parlano chiaro: con 3.771 morti e dispersi nel Mediterraneo, il 2015 è stato l’anno più tragico per i migranti.
Cerchiamo di aiutare i nostri lettori a comprendere il meccanismo dell’accoglienza. Cosa succede ai migranti stranieri che vengono soccorsi dalla Marina Militare e dalla Guardia Costiera nel tentativo di raggiungere le coste italiane o a quelli che, entrati clandestinamente nel nostro Paese, vengono intercettati dalle forze di pubblica sicurezza mentre cercano di far perdere le loro tracce?
Dopo il primo soccorso, effettuato nel luogo in cui i migranti sbarcano, coloro che richiedono asilo devono essere accolti e assistiti fino a quando il Tribunale competente, e precisamente la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, non verificherà che effettivamente sussistano tutti i requisiti per avere un permesso di soggiorno per asilo politico. Con questo documento il migrante potrà risiedere sul territorio, lavorare ed accedere ai servizi italiani.
Ma torniamo all’accoglienza. L’arrivo di queste persone necessita una mobilitazione importante sia da parte delle Istituzioni nazionali e locali che da parte della società civile. Arrivati in Italia, infatti, i migranti devono attendere il pronunciamento del Tribunale in condizioni di vita tranquille e dignitose. Ed è per questo che il Ministero dell’Interno ha avviato un piano per gestire la situazione in modo che tutte le Regioni d’Italia, secondo le proprie possibilità, possano contribuire all’accoglienza di queste persone.
È un dovere per l’Italia dare ospitalità a coloro che chiedono asilo e che provengono da paesi che non forniscono loro i mezzi per una vita stabile. E per questi uomini, donne e bambini è un diritto poter trovare accoglienza e rifugio in uno Stato che all’art. 10 della sua Costituzione dichiara che “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.”
Dunque, dovendo i richiedenti asilo attendere l’esame della Commissione territoriale competente, dove vivono e come sopravvivono mentre consumano questa, immaginiamo angosciosa attesa?
La competenza rispetto alla distribuzione sul territorio dei migranti è attribuita alle Prefetture che, direttamente collegate al Ministero dell’Interno, sono intermediari tra l’istituzione e il territorio. Le Prefetture hanno elaborato dei bandi pubblici attraverso i quali sono stati identificati gli enti e le organizzazioni in grado di disporre l’accoglienza in tutte le provincie d’Italia. Il Ministero dell’Interno ha creato un fondo per la gestione di questo flusso migratorio. Infatti, per il periodo di attesa, al migrante è garantito vitto e alloggio e la quota, per persona, ammonta a 35 euro al giorno. È da ricordare che questa cifra non viene consegnata nelle mani del richiedente asilo, ma viene gestita dall’ente incaricato. Al richiedente asilo viene consegnata un sorta di carta prepagata con all’interno 2,5 euro che gli spettano quotidianamente per eventuali spese extra.
In attesa del pronunciamento della Commissione, di fatto, i migranti vivono come in un limbo: sospesi in una realtà che non gli fa mancare cibo e un tetto per ripararsi ma che li costringe a mettere in standby il loro progetto di vita che – come per ogni essere umano – è lavorare per vivere e per sostenere i propri famigliari.
Il problema emerge in tutta la sua grandezza se si pensa che per ottenere il pronunciamento della Commissione territoriale si può aspettare fino ad un anno e mezzo. Diciotto mesi in cui queste donne e questi uomini si trovano in qualche modo prigionieri, senza poter andare avanti né indietro, in attesa di poter realizzare, o almeno di cercare di realizzare, il proprio futuro.
Qual è il modello applicato in Lombardia e, soprattutto, nella provincia di Monza e della Brianza?
La rete di soggetti che gestisce l’accoglienza profughi in Brianza coinvolge enti come ARCI Monza e Brianza, CARITAS, Croce Rossa Italiana e altre realtà del terzo settore. La rete lavora su mandato della Prefettura di Monza e Brianza, propone un progetto condiviso dal punto di vista economico e gestionale e collabora con le istituzioni e gli enti locali.
Arrivati in Brianza, i migranti vengono ospitati nei centri di prima accoglienza, strutture temporanee in cui gli viene spiegato il contesto in cui si trovano: le norme di legge per i richiedenti asilo, la città e la struttura che li ospitano e come funziona il progetto. Insieme ai primi riferimenti, viene anche fornito un kit d’accoglienza che comprende due schede telefoniche prepagate, una per chiamare in tutto il mondo e una per l’Europa; un kit igienico con un primo cambio e il pocket money di 5 euro per i primi due giorni che diventano 2,50 euro per i giorni successivi. Dai centri di prima accoglienza, i migranti vengono poi accolti in appartamenti o residence. Parliamo infatti, per la nostra provincia, di accoglienza “diffusa”. Gli enti incaricati dell’accoglienza cercano alloggi da affittare nel mercato privato, oppure messi a disposizione da Enti religiosi o privati, o da singoli cittadini. Una volta sistemati negli appartamenti i richiedenti asilo ricevono la visita settimanale di operatori che li assistono nei loro bisogni come cibo, vestiario, visite mediche.
E a Bernareggio? Quanti richiedenti asilo trovano ospitalità?
A Bernareggio i richiedenti asilo sono 9, accolti in 3 appartamenti di nostri concittadini.
Come state affrontando la questione? Avete avviato dei progetti specifici di inclusione e partecipazione a loro rivolti?
Per prima cosa li abbiamo incontrati. Siamo andati a casa loro e ci siamo presentati. Era importante, a mio parere, presentarci e dare qualche informazione circa il comune in cui passeranno alcuni mesi della loro vita. Abbiamo poi tentato un percorso di lavori utili per la comunità. Devo dire che non è stato semplice e che ora abbiamo sospeso questo progetto poiché non è risultato efficace. Il problema nasce principalmente dal fatto che questi ragazzi, tutti maschi in giovanissima età, non riescono a soddisfare il loro obiettivo primario: lavorare e cominciare a sostenere la propria famiglia lasciata nel paese di origine. Non so se i ragazzi che sono qui a Bernareggio riceveranno tutti la protezione internazionale da parte dell’Italia, ma sicuramente questo periodo di “attesa” non aiuta nessuno e complica ulteriormente il sistema di accoglienza predisposto dalle Prefetture.