In questa serie di articoli parleremo del mega progetto cinese “Belt Road Initiative”, che nelle intenzioni dovrà collegare il Mar Mediterraneo al Mar Cinese, grazie ad una lunga serie di infrastrutture e impianti logistici in fase di costruzione e studio. Per raccontare questa iniziativa di Pechino – che ha obiettivi commerciali e geopolitici – partiremo dalla Grecia, dal porto di Atene, il Pireo, che in questi anni ha ricevuto centinaia di milioni di euro di investimenti per il suo ampliamento e per il suo sviluppo.
Immaginato dal Presidente Xi Jiniping nel 2013, il progetto della “Nuova Via della Seta” (“Belt Road Initiative”) venne accolto all’epoca della sua presentazione con forte scetticismo da molti analisti internazionali. La mancanza di informazioni riguardo il maestoso progetto e la sua presunta difficoltà di realizzazione, dovuta alla necessità di dover attraversare zone in cui imperversavano conflitti etnici e religiosi, legittimavano tale scetticismo.
Tuttavia, a quattro anni dall’annuncio, gli effetti economici generati dall’iniziativa iniziano a farsi evidenti. Le statistiche ufficiali infatti fanno notare che il commercio fra la Cina e i Paesi facenti parte della Belt Road Initiative ha già superato i tre miliardi dollari nel triennio 2014-2016, e il progressivo sviluppo di queste tratte euroasiatiche ha dato il via ad altri progetti intercontinentali, come la Metro of Metr, che avevamo raccontato in questo articolo.
All’interno di tale iniziativa, la Repubblica Popolare Cinese ha iniziato a riversare anche ingenti risorse economiche sul Mediterraneo. Tali investimenti sono dettati sia dalla necessità di migliorare i collegamenti fra Unione Europea e Pechino, sia dal desiderio della Cina di fare del Mediterraneo il punto di incontro della rotta terrestre e marittima della BRI.
All’interno del Mare Nostrum, i principali investimenti cinesi hanno riguardato il Pireo, ossia il porto di Atene. Già nel 2008, cinque anni prima che Xi Jinping illustrasse il progetto della “Nuova Via della Seta”, l’azienda COSCO, di proprietà dello Stato, aveva acquisito la licenza per operare nel molo II del Pireo per un periodo di 35 anni. Assieme a tale concessione, COSCO aveva anche guadagnato il diritto di costruire un proprio molo, Pier III, per un costo complessivo dell’operazione pari a 532 milioni di euro, anche questo in concessione per 35 anni.
Un investimento che nel corso degli anni ha fruttato a COSCO consistenti guadagni, al contrario di quanto accadeva con il molo I, ancora gestito dallo Stato ellenico.
Successivamente anche tale parte del porto ateniese, tuttavia, è caduta nelle mani del governo di Pechino, che ha intenzione di rendere entro il 2018 il Pireo uno dei 30 maggior porti internazionali per volumi scambiati. Infatti, con un accordo siglato l’8 aprile 2016, COSCO ha acquisito il 67% della Piraeus Port Authority, azienda controllata dal governo di Atene che sino ad allora aveva gestito il molo I.
La privatizzazione del Pireo è stata una della lunga serie di cambi di rotta che hanno caratterizzato gli anni di governo Tsipras. Il leader di Syriza si era infatti dichiarato del tutto contrario a una possibile privatizzazione del Pireo. Tuttavia, il premier ellenico ha dovuto cambiare la propria opinione di fronte alla necessità di raggiungere la soglia di 4 miliardi di privatizzazione, necessaria per poter accedere alla terza tranche di prestiti internazionali.
Sebbene il presidente di COSCO, Xu Lirong, abbia dipinto la vendita del molo I come la fine di un’odissea per il popolo ellenico, quest’ultimo ha percepito la decisione del governo di privatizzare il Pireo come un vero e proprio tradimento. Tale sentimento non era dettato solo dalla potenziale perdita di posti lavoro. Buona parte della popolazione greca, infatti, ritiene che con tale vendita, la propria nazione si stesse privando di un asset strategico, e con esso, il controllo di un’area estremamente importante.
Ciò che appare privo di dubbio, invece, è che il Pireo offrirà alla Cina la possibilità di porre i propri piedi stabilmente nel territorio europeo e nel Mediterraneo. Pechino infatti intende collegare il porto greco al continente Europeo tramite la realizzazione di una linea ferroviaria ad alta velocità lunga 350 chilometri passante per i Balcani lungo l’asse Skopje-Belgrado-Budapest.
Tuttavia la Commissione Europea ha avviato un’indagine riguardo a tale progetto sia per verificarne la fattibilità, sia per essere certa che l’Ungheria non abbia violato la normativa europea per cui è necessario organizzare gare pubbliche per grandi progetti logistici transfrontalieri.
Nonostante alcune problematiche ancora da risolvere è certo che il Mediterraneo, come fulcro dei rapporti sino-europei, apra grandi possibilità per l’Italia. Il nostro Paese sta iniziando a muoversi per poter entrare a far parte della rete di investimenti della BRI, come dimostrato dal viaggio di metà maggio del primo ministro Paolo Gentiloni a Pechino per il Forum delle nuove vie della Seta, in cui ha ottenuto l’ok cinese per l’investimento nei porti di Trieste e Genova.
In tale contesto, l’attuale premier ha cercato di evidenziare il ruolo chiave che l’Italia potrebbe avere nella BRI, sia per la sua collocazione strategica al centro di Mediterraneo, ma anche per la sua rete di porti e infrastrutture, che potrebbe far dell’Italia il naturale punto d’arrivo occidentale della nuova via della Seta.
L’Italia, a sua volta, potrebbe utilizzare la BRI al fine di sfruttare le opportunità economiche che dovessero sorgere negli altri Paesi coinvolti. Ad esempio, Ferrovie dello Stato è già impegnata a livello internazionale: in Iran, ad esempio, FS si occuperà della progettazione, realizzazione, test e messa in servizio della linea ad alta velocità Teheran-Hamedan e Qom-Arak.
Grazie ai massicci investimenti cinesi nel Mediterraneo, in futuro, l’Italia e l’Europa potrebbe collaborare con la Cina anche sul piano della sicurezza. Infatti, la crescita degli interessi e delle minacce presenti lungo la nuova via della Seta potrebbero far sì che Pechino, nonostante l’attuale diffidenza nei confronti di alcuni paesi occidentali, cerchi delle forme di collaborazione anche in quest’ambito. Una notizia che sarebbe sicuramente positiva per il nostro Paese, potendone trarre del beneficio per stabilizzare la sempre più critica situazione sulla sponda sud del Mediterraneo.
di Antonio Schiavano