In che modo i processi economici stanno ponendo le basi per la formazione di aree inter-statali di accentramento del potere, che si allontanano e si scontrano, con il concetto classico di Stato-Nazione.
Premessa al metodo
Il principale problema per chi si affaccia allo studio della Geopolitica, sia in senso strettamente contemporaneo che storico, è che deve relazionarsi con il quesito della metodologia. La Storia e la Geopolitica non sono la sterile catalogazione degli eventi ma il tentativo di riconoscere in essi delle dinamiche coerenti al fine da poter determinare anche quali eventi selezionare e considerare nel complesso totale. In altre parole esiste sempre un metodo, sia esso conscio o inconscio, che ci porta a scegliere quali eventi considerare nel mare magnum delle opzioni disponibili. Assodato che quindi non esiste la “Geopolitica obiettiva” ma solo il tentativo di rasentare la neutralità, e considerando anche non si può prescindere da un metodo di ricerca, diventa indispensabile affinare tale metodo.
Nazioni e Città
La Storia dell’Umanità inizia circa un milione di anni fa, e già da duecentomila anni Homo Sapiens, Neandhertal ed Erectus evoluti, avevano comportamenti simili ai nostri. La verità è che le scienze moderne di analisi della società sono nate in un’epoca in cui gli stati nazionali esprimevano il massimo concentramento possibile di potere. Eppure ciò non è stato vero né per periodi precedenti, né lo sarà per quelli successivi.
Durante il medioevo osserviamo che il potere espresso da alcuni ricchi possidenti era assai maggiore di quello di certe nazioni, e che alcuni stati erano tali solo nel nome. Non erano per forza periodi di caos ma semplicemente il potere si assemblava in forme nuove con lo sgretolarsi del potere nazionale. Oggi osserviamo come le grandi corporation sono in aperta battaglia contro alcuni stati nazionali, poiché l’oggetto del contendere è, per entrambi, il potere; non a caso usiamo il nome di Multinazionali.
Come già successo nel Medioevo Occidentale, in quello Giapponese o quello Egiziano, osserviamo le forze nazionali sgretolarsi o comunque perdere, non ovunque e non nella stessa maniera, il controllo effettivo del territorio. Tali processi non devono essere visti come catastrofici o frutto di annose battaglie, ma sono al contrario spesso lenti e progressivi.
Se quindi eliminiamo dall’equazione il “primato della nazione” come modello di riferimento dell’indagine e applichiamo alla nostra epoca una metodologia di indagine di tipo medievale, quale sarà il quadro emergente?
E se tale quadro meglio si adatta alla realtà, si può dire che la Città Stato, o nuove Regioni di Città, stanno avendo il sopravvento sulle nazioni come intese fino a questo momento? Verifichiamo subito.
I dati
La rete ferroviaria
L’archeologia è una scienza molto interessante poiché non avendo a disposizione i testi il più delle volte deve ricostruire la composizione di nazioni e imperi partendo dalla cosiddetta cultura materiale ovverosia quell’insieme di elementi materiali che tracciano le vie organizzative delle comunità umane. In questo modo sono stati messi a punto sistemi asettici che sono immunizzati involontariamente dalla propaganda dei popoli che si stanno analizzando. Anche le scienze contemporanee come la sociologia e l’insiemistica tracciano mappe delle civiltà che non rispettano sempre i confini nazionali unendo aree apparentemente separate da lingua e leggi ma che nella realtà dei fatti sono profondamente legate tra di loro.
Tutte queste scienze invitano a tenere conto delle vie di trasporti. Prendiamo in esame in questo caso la rete ferroviaria in quanto la generazione delle sue infrastrutture richiede uno sforzo in termini di soldi e tempo che le impedisce di essere soggetta a fluttuazioni temporanee ed aleatorie.
Osservando questa mappa sulla distribuzione della rete per l’alta velocità in Europa ne emerge un quadro alquanto ottimistico e che sembra rispettare una distribuzione organica della rete che coincide grossomodo, seppur con le note divisioni di aree ricche e povere per ciascun stato, con le organizzazioni nazionali Europee. Eppure questa interessante infografica, realizzata dal team Wikipedia in lingua inglese, il cui lavoro è sempre estremamente lodevole, stona non solo con l’esperienza personale di ciascuno di noi ma anche con i dati in nostro possesso.
La mappa seguente è prodotta invece da un sito di servizi turistici che informa l’utilizzatore sui reali corridoi di alta velocità. Riconosciamo facilmente la dorsale tirrenica che connette le principali città Italiane e osserviamo una fitta rete di trasporti viaggiatori localizzata nella mittel-Europa. Per quanto possa apparire provocatorio, la seconda mappa è più veritiera della prima.
A conferma di ciò osserviamo la distribuzione del trasporto merci su rotaia secondo la Relazione Speciale del 2016 della Corte Conti per il trasporto delle merci in Europa. A pagina 16 troviamo un’interessante mappa che mostra uno scenario molto più simile a quanto auspicato dalla pagina di Wikipedia. Nella realtà dei fatti possiamo osservare Milano essere perfettamente inglobata nella fitta rete dei commerci del centro Europa e nuove mappe organizzative dei commerci che tracciano una divisione importante fra aree che non tengono per nulla conto delle divisioni territoriali.
Si definiscono invece nuovi macro-insiemi di città, unite non solo da fitti rapporti commerciali ma anche da tenori di ricchezza simili. Naturalmente in sé il semplice trasporto ferroviario non può sostenere una tesi olistica completa ma è bene tenerne conto per le future considerazioni che verranno fatte nei paragrafi seguenti.
La percezione del potere
La Nazione e lo Stato sono una maglia di interessi retti da una illusione di identità. Tale percezione è sempre stata nel corso della storia l’obiettivo principale della propaganda che dall’alba delle prime nazioni tiene unita l’ideologia della popolazione.
Nel momento in cui questo insieme complesso di sentimenti condivisi si incrina lo stato stesso è in crisi, nondimeno come se fosse sottoposto alla sollecitazione di una grave calamità naturale. Nelle democrazie moderne uno dei principali sistemi per valutare la forza dell’identità di una nazione è l’astensionismo che denuncia la fiducia del popolo nei confronti, non tanto del governo, quanto del “sistema-nazione”.
Per quanto i movimenti separatisti o estremisti (che sono uniti dal comune desiderio di operare un mutamento sistemico generale) vengano sottovalutati, in questi ultimi anni la loro recrudescenza dimostra un problema reale che nell’astensionismo aveva avuto i suoi primi campanelli di allarme.
Dal dopoguerra al 1976, novantatré italiani su cento si recavano alle urne, poiché, per quanto divisi dalle grandi ideologie della guerra fredda, vedevano nel “sistema” il metodo di applicazione corretto di tali movimenti e si riconoscevano nello Stato come identità che avrebbe incarnato quelle ideologie. Dalla fine degli anni settanta ad oggi si osserva invece una discesa lenta ma costante, che culmina con le elezioni del 2018 con una partecipazione del 73% degli aventi diritto. In altre parole, per ogni cento italiani ce ne sono 27 che trovano irrilevante chi sale al governo.
Ma l’Italia, come sempre nella sua breve storia, non segue la Storia ma la anticipa, e così possiamo notare l’astensionismo ci informa sulla crisi identitaria di tutte le nazioni Europee. La cosa non ci stupisce, del resto, per buona parte della sua storia post-rinascimentale, questo continente ha costruito la propaganda sull’odio nei confronti del vicino, e solo tale odio ha tenuto insieme così tante nazioni in così poco spazio.
Dopo così tanti anni di pace e con la nuova economia che avanza, senza considerare intere generazioni che si sentono propriamente europee, le illusioni faticano ad affermarsi e osserviamo cali vertiginosi nelle partecipazioni: in Germania siamo al 28% di astensionismo e Grecia, Belgio, Austria e Lussemburgo, usano ancora lo strumento dell’obbligatorietà del voto.
Se osserviamo alla celeberrima mappa apparsa su Reddit che mostrava l’Europa nella misura in cui avessero vinto tutti i movimenti separatisti non mostra né il futuro né uno scenario in qualche modo realistico, ma denuncia un sentimento condiviso di sfiducia. Le masse spesso percepiscono prima quel che le economie realizzano. Esiste un’altra mappa d’Europa, tracciata dal denaro, dalle ferrovie e le strade, e si tratta di un fenomeno assai più lento e progressivo in quanto è un processo storico, non politico.
La mappa della ricchezza
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Le icone gialle rappresentano quelle città che sono fra le prime 15 al mondo per ricchezza ma anche per potere di acquisto dei suoi cittadini; le altre al contrario, pur rientrando fra le 15 città più ricche al mondo (anche se la definizione più corretta, seppur prosaica, è “le città più care al mondo”) non rientrano fra le 15 con il miglior potere d’acquisto, dimostrando una fragilità profonda nel sistema distributivo e che denuncia una dipendenza ancora profonda di queste città dal sistema che le ospita.
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La presenza all’interno di una Nazione di una regione più ricca o addirittura di una singola città che accentra tutto il potere e le energie del paese non sono una novità. Storicamente abbiamo molti esempi fra cui la Parigi del Regno di Francia, o la Napoli del Regno delle Due Sicilie o la Djenne prima della conquista Songhai, città-capitali che accentravano tutte le energie dei loro regni, talvolta vampirizzando completamente i territori circostanti per garantire un alto livello commerciale (e talvolta industriale) del centro principale.
Eppure questa configurazione, nata millenni fa con la struttura dello stato sumerico definita appunto centro/periferia, non minava la natura della nazione. Il discorso muta radicalmente nella misura in cui le aree di ricchezza scavalcano i confini nazionali ignorando del tutto le relazioni interne a favore di nuove maglie di relazioni con altre aree ricche limitrofe.
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L’Europa è sicuramente una delle regioni più ricche del pianeta e non deve stupire se molte delle città più ricche del globo si trovino qui. Molto importante però, fra queste facoltose città, discernere fra quei centri che sono effettivamente molto ricchi ed altri che lo sono solo in parte.
Basandoci sui dati forniti da UBS possiamo osservare che Oslo, Stoccolma, Helsinki, Copenaghen, Londra, Parigi, Lussemburgo, Zurigo, Ginevra e Milano sono tra le città più ricche del pianeta. Ma di questo gruppo solo Lussemburgo, Zurigo e Ginevra mostrano un potere d’acquisto che bilanci tale ricchezza. Il che significa che in queste località non sono solo le città ad essere ricche ma lo sono anche i cittadini che la abitano.
Nell’ambito della nostra mappa definiamo così un’area ricca a due velocità, dove le città ricche di seconda fascia (indicate nella mia mappa in rosso) circondano come un’aureola le città ricche di prima fascia (in giallo). A questo punto osserviamo la distribuzione del PIL in Europa considerando le regioni e non il PIL nazionale. Anche questo caso si può osservare come il prodotto interno lordo tracci una regione molto più ricca delle altre posta al centro della mappa europea.
Un ultimo elemento da considerare è il tasso di occupazione, che, parimenti di tutti gli altri elementi ci da un segnale forte della partecipazione attiva della popolazione ai fenomeni delle loro regioni, rendendoli partecipi della ricchezza (o della povertà) della zona che abitano.
Conclusioni
A questo punto non dobbiamo fare altro che sovrapporre le varie mappe e trarre le nostre conclusioni.
Quel che stiamo osservando sono i reali confini di una realtà la quale non è definita da elementi etnici o culturali, né tantomeno da fattori storici (per quanto qualcuno potrebbe essere tentato di trovarne per legittimarne l’esistenza, ma non ve ne sono). Questa nuvola di “città-stato” sono unite da simili modus vivendi dei suoi abitanti e dall’inserimento in un comune circuito di esistenza che di fatto le isola dalle nazioni di appartenenza, avvantaggiandole.
I flussi migratori interni dell’Unione europea confermano questi dati e si sta consolidando un fenomeno di isolamento di una parte dell’Europa senza proclami politici o fanfare, poiché è un fenomeno che non nasce da una manovra pre-orchestrata ma è il segnale della sconfitta dei governi nei confronti del “mercato”.
Quello che osserviamo non è un processo di generazione per osmosi bensì una forma moderna dell’incastellamento medievale: con il progressivo drenaggio della ricchezza, un tempo più distribuita, dall’Europa verso altre regioni del pianeta, le città più forti consolidano il loro potere a scapito delle regioni più povere limitrofe e si isolano, promuovendo un dialogo che coinvolga solo le regioni più ricche.
[toggle title=”L’incastellamento medievale secondo Enciclopedia Treccani“]
Complesso movimento mediante il quale si sono operati in Italia, tra il 920 e il 1030, l’accentramento umano in abitati d’altura, chiusi e raggruppati (castelli o castra), la ricomposizione dei terreni e la loro gerarchizzazione all’interno di vere e proprie circoscrizioni, portando così alla nascita di un paesaggio caratteristico e duraturo. Appare come uno dei più profondi rivolgimenti strutturali conosciuti nell’Europa mediterranea nel corso del Medioevo.
Le più recenti indagini archeologiche hanno permesso di chiarire meglio l’organizzazione dei castra: a una prima fase, caratterizzata da costruzioni in legno, in forma di villaggio aperto, ne seguì una seconda, che trasformò il precedente villaggio in un abitato chiuso da mura, fortificato, con edifici in pietra,corrispondente a uno schema urbanistico concentrico, che dalla centrale residenza signorile si allargava con le abitazioni fino alle mura. L’i. propriamente detto ebbe inizio, perciò, al momento della riorganizzazione degli abitati preesistenti e riguardò allo stesso modo le strutture fondiarie e agrarie, l’inquadramento politico e religioso e anche l’organizzazione familiare, modificando tutti gli aspetti della vita sociale.
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Nel momento in cui osserviamo che i vari Stati avvantaggiano tale movimento di merci e persone e beni a scapito di movimenti interni o meglio diluiti su tutto il territorio europeo, assistiamo di fatto al preludio di una perdita di presa su quei territori che se in un primo momento trainano le nazioni che li ospitano, saranno le prime a sganciarsene non appena i tempi saranno maturi. Come già detto non si tratta di un fenomeno politico ma storico e per questo è lento e prescinde dai tempi rapidi della politica.
Vi sono naturalmente delle cattedrali nel deserto, ovverosia delle città estremamente ricche o notevolmente più ricche del territorio che le circonda, le quali non sono inserite in alcun circuito e che sono destinate o a rientrarvi o a conoscere un rapido declino, per quanto è solo dal potenziamento di queste realtà che gli Stati europei possono sperare di sopravvivere a questo difficile momento storico. Si potrebbe pensare che la cultura identitaria, le illusioni di coesione o le millantate unioni regionali e areali non fermeranno tale processo, ma si adatteranno ad esso, come sempre nella storia dell’umanità.
di Tanator Tenabaun