C’è un lato oscuro della crisi ucraina. Oscuro perché assume tratti misti di paranoia, legittime preoccupazioni, miti, valide considerazioni geopolitiche, identità contrapposte e catastrofismi da “Terza Guerra Mondiale”. Stiamo parlando del Baltico o meglio delle cosiddette repubbliche baltiche: Estonia, Lettonia e Lituania.
Il passato sovietico delle tre repubbliche è noto a tutti. Dalla caduta del muro le repubbliche baltiche accelerarono il loro percorso di smarcamento nei confronti del fiaccato gigante russo, intraprendendo riforme strutturali ultraliberiste, volte a recuperare il gap con i vicini occidentali. L’efficacia delle misure venne avallata politicamente dall’entrata nella Nato (2004) e nell’Ue (maggio dello stesso anno) e valsero il lusinghiero appellativo di “tigri del Baltico”.
Nonostante questo rapido “scivolamento a Ovest” i legami con la Russia non sono mai stati recisi del tutto. E d’altronde sarebbe forse impensabile sia da un punto di vista economico che da un punto di vista storico e politico: secondo i dati dei governi baltici, tutt’oggi è diretto in Russia il 21 per cento delle esportazioni della Lituania, il 12 per cento di quelle della Lettonia e il 9,8 per cento di quelle dell’Estonia. Se i dati economici non dovessero bastare ci pensa la storia a ricordarci come, insieme alla Polonia, le repubbliche baltiche siano state fra le principali vittime del tentativo di russizzazione ai tempi dell’URSS; e non è un caso che questi quattro paesi siano sempre stati accomunati da una forte visione atlantica ed europeista del proprio futuro post-comunista e da uno spiccato sentimento di rivalsa contro Mosca.
La crisi Ucraina ha svelato come le braci a Riga, Vilnius e Tallinn brucino ancora sotto un’apparente coltre di fredda cenere; il coinvolgimento della Nato, che sembra voler prendere in seria considerazione le richieste di aiuto dei tre paesi membri, infastidita dalle continue provocazioni russe, è un segnale da non sottovalutare.
Le tre repubbliche hanno guardato (e guardano) con molta apprensione ai sanguinosi fatti ucraini. L’annessione della Crimea e la destabilizzazione del Donbass costituiscono una sorta di spaventoso flashback specialmente se condite con quel pizzico di retorica nazionalista molto cara a Putin: difendere le minoranze russe, ovunque esse si trovino. Ebbene sulle coste del Mar Baltico di minoranze russe ce ne sono in abbondanza e solitamente sono ben rappresentate in parlamento. In quel processo di russizzazione sopracitato, rientrano anche deportazioni di autoctoni, insegnamento forzoso della lingua russa e immigrazione di manodopera russa. L’eredità di 50 anni di URSS non può che essere la presenza di corpose minoranze russofone. Ovviamente non si tratta solo di una questione etnica; sul Baltico pesano anche le mire russe verso l’Artico e più in generale la linea di frizione geopolitica Est-Ovest. In più secondo un report della Danske Bank, la più grande banca danese, il valore dei prodotti e dei servizi destinati alla Russia si ridurrà del 18/25 percento. La Russia ai tempi del rublo volatile e del petrolio a prezzi stracciati, diventa un vicino ancor meno accogliente.
La Lituania è quella dove la presenza di russi e russofoni costituisce forse l’aspetto minore: Vilnius è riuscita durante l’occupazione sovietica a limitare l’ingresso copioso di operai russi e una volta ottenuta l’indipendenza, molti di loro hanno lasciato il paese. Ad oggi si conta una percentuale di popolazione che si identifica come russa pari al 6% del totale; dunque non molti e soprattutto sparpagliati per il paese. A ciò si aggiunga che, generalmente, ai cittadini russi sono stati da subito concessi gli stessi diritti di quelli lituani. Ciò non significa però che in Lituania non vi siano tensioni: ha fatto molto discutere in tal senso la decisione del governo di limitare fortemente l’insegnamento della lingua russa nelle scuole. In più, spesso ci si dimentica, che la Lituania confina con la Russia: nello specifico non ad Est, bensì a Sudovest dove è presente l’exclave russa di Kaliningrad. Lungo il confine fra i due paesi, la presenza di russi e russofoni ovviamente aumenta e ciò è stato (già in passato) fonte di tensioni fra Vilnius e Mosca; vale la pena riportare il curioso episodio avvenuto nel 2007, quando una guida turistica lituana ha riprodotto una cartina dell’Europa nelle quale l’exclave russa era sostituita da un lago immaginario. Alla luce di quanto sinora illustrato può non stupire la decisione presa dalla presidente lituana Dalia Grybauskaite lo scorso febbraio di aumentare i fondi per la spesa militare e di reintrodurre (temporaneamente) la leva obbligatoria, abbandonata nel 2008.
In Estonia la situazione appare più complicata. In questa piccola nazione convivono da sempre estoni e russi: questi ultimi sono circa il 25 percento della popolazione e l’80 percento di tutti i non-estoni presenti nel territorio. Tale convivenza però non ha mai assunto tratti idilliaci: dal 1944 la popolazione estone diminuisce dall’82 percento nel 1934, al 61.5 percento nel 1989 e gli aneliti indipendentisti sono repressi. A partire dal crollo dell’Unione Sovietica e dall’indipendenza della nazione nel 1991, si verifica come spesso accade nella storia, un ironico capovolgimento di prospettiva: i russi vengono considerati minoranza e l’estone diventa la lingua principale di comunicazione. Ed è proprio negli anni ’90 che il diritto di cittadinanza viene riconosciuto solo a coloro che erano cittadini estoni prima del 1940. Sono, di conseguenza, immediatamente esclusi i russi emigrati in Estonia dai tempi di Stalin in poi, tanto che la nuova Repubblica attribuisce loro il nome di “alieni” o semplicemente “cittadini dell’Unione Sovietica”. Le procedure per acquisire la cittadinanza si inaspriscono, a causa dell’introduzione di un esame nel quale il candidato deve dimostrare tanto la conoscenza della lingua estone scritta quanto di quella parlata. Difficoltà e costo elevato dell’esame riducono il numero di candidati disposti ad affrontare il test. La controffensiva russa, alle politiche estoni sulla cittadinanza, è partita da tempo, a colpi di passaporto. Secondo il Servizio migrazioni federale, dal 2000 ad oggi, il Cremlino ha concesso la cittadinanza a circa 2 milioni e 900 mila ex cittadini sovietici. La questione della cittadinanza ha ovviamente incattivito le minoranze russe e russofone, che come detto, costituiscono ¼ della popolazione estone. Emblematico in tal senso l’episodio del 2007 relativo alla rimozione della statua di un soldato russo che si trovava nel centro di Tallinn: monumento alla feroce battaglia che liberò la capitale dall’occupazione tedesca essa è sempre stata orgoglio per la minoranza russa e simbolo di 50 anni di occupazione sovietica per gli estoni; quando fu presa la decisione di spostarla in un cimitero monumentale (insieme ai resti dei soldati sepolti in una fossa comune nel suolo sottostante) scoppiò una vera e propria guerriglia urbana che costò la vita ad una ragazzo russo accoltellato.
Tornando ai giorni nostri, Putin non ha mai nascosto una certa insofferenza verso le politiche di Tallinn. Numerose sono state le occasioni in cui Mosca non ha mancato di far vedere i muscoli al confine con l’Estonia, con sconfinamenti non preannunciati, manovre ed esercitazioni imponenti e ben poco diplomatiche. I confini fra l’Estonia e la Russia sono tutt’oggi contesi. Non a caso a Narva, città di frontiera, lo scorso 24 febbraio in occasione della festa dell’indipendenza (dai russi) diversi carri armati americani con la bandiera a stelle e strisce issata sulle antenne hanno sfilato a pochi chilometri dal confine russo. In molti hanno interpretato la decisione di far sfilare mezzi blindati americani proprio a Narva come una provocazione o un avvertimento alla Russia da parte dell’occidente: far capire alla Russia che la risposta della Nato non sarebbe la stessa nel caso di una qualsiasi “interferenza russa” in Paesi come la Lituania, la Lettonia o l’Estonia. Paesi che, a differenza dell’Ucraina, fanno parte dell’Alleanza Atlantica. Intanto il primo marzo le elezioni hanno sancito la vittoria del partito di governo in carica, ma hanno altresì mostrato una crescita del principale partito filorusso.
Anche la Lettonia certamente non dorme sonni tranquilli. Per spiegare i timori che molti lettoni nutrono riguardo al rischio di un intervento della Russia in difesa dei cittadini russofoni del paese, occorre ricordare una semplice variabile demografica. La Lettonia è l’ex repubblica sovietica con la percentuale più elevata di cittadini di etnia russa (26 percento) e la lingua russa è dichiarata come lingua madre da oltre il 35% della popolazione. I russi e russofoni rappresentano minoranze ragguardevoli in tutte le principali città e lo sono soprattutto in una delle quattro regioni geografiche del paese, il Latgale situato nel sud-est, al confine con Russia e Bielorussia. Una situazione che parrebbe molto simile a quella della Crimea (con i dovuti distinguo). Non è un caso che le priorità di Riga si siano orientate verso due punti: Frontiere più sicure e un maggior numero di soldati a presidiare la difesa del paese. L’obiettivo sembra quello di impedire l’ingresso nel territorio lettone di quelli che in Lettonia vengono comunemente chiamati “zaļie cilvēciņi” (letteralmente “omini verdi”), come vengono definiti i militari russi diventati famosi in Crimea. Già da tempo sui social network circola l’immagine di un’inquietante bandiera della fantomatica repubblica del Latgale in versione russa. La Lettonia condivide con l’Estonia una politica di riconoscimento della cittadinanza molto restrittiva nei confronti della minoranza russa. Un punto controverso ma scarsamente dibattuto è la promessa informale di riconoscimento automatico della cittadinanza a chiunque avesse sostenuto la separazione dall’Urss, con la quale il fronte indipendentista ottenne il sostegno di molti russofoni alla causa antisovietica: il fatto che questa promessa sia stata disattesa è stato percepito da molti come un tradimento. Ancora oggi, il 14% della popolazione lettone (per scelta, per principio o per difficoltà a sostenere l’esame) risulta priva di cittadinanza e di conseguenza non può esercitare diritto di voto.
Il rapporto fra le tre repubbliche e la Russia è complesso e in alcuni casi apertamente conflittuale. Non si vuole lanciare grida apocalittiche da Terza Guerra Mondiale, ma una cosa è certa: l’ombra della Russia sul Baltico si sta allungando.
Marco Principia