La situazione siriana è un inferno. Capire cosa sta succedendo è doveroso in quanto esseri umani e indispensabile per la comprensione di quei fenomeni che travalicano i confini naturali di quella terra. Per questo motivo la nostra Rivista seguirà più da vicino la guerra siriana, che in realtà sono tante guerre diverse e sovrapposte, in modo da fornire un quadro sempre aggiornato e il più chiaro possibile.
Il 29 luglio 2013 veniva rapito in Siria Padre Paolo Dall’Oglio. Da Roma a Raqqa passando per Damasco: ecco chi è il gesuita espulso da Assad, rapito dall’ISIS, dimenticato dalla Chiesa e amato dai siriani.
“In Siria la democrazia è possibile, ma [solo se] sono assicurate le libertà di espressione e se si rinuncerà a ogni attentato alla dignità umana e a ogni sopruso nei confronti dei diritti dell’uomo”, scriveva Padre Paolo dall’Oglio nel 2011. Allo scoppio della rivoluzione e di fronte alla repressione che ne seguì, Padre Paolo si schierò subito a difesa dei più deboli.
Gesuita di origini romane, Paolo dall’Oglio si innamorò della Siria da giovane, paese dove si stabilì con una missione: promuovere la pace e il dialogo tra confessioni ed etnie presenti in Siria. Per farlo, negli anni ’80 fondò la comunità monastica di Deir Mar Musa (Monastero di san Mosè l’Abissino), a nord di Damasco.
La sua opera di pace nella promozione del dialogo tra cristiani e musulmani gli ha fatto guadagnare rispetto in tutto il Paese, prima che con lo scoppio della rivoluzione divenisse scomoda. Per risolvere la crisi, Padre Paolo nel 2011 scrisse un articolo in cui proponeva una pacifica transizione democratica in Siria, sulla base di ciò che egli definì “democrazia consensuale”, ossia con un Parlamento che avesse poteri effettivi, cosa che in oltre 40 anni di dittatura non è mai esistita, se non sulla carta. Il Presidente Bashar al-Assad avrebbe avuto un ruolo centrale in questo processo e, concedendo le riforme che il popolo chiedeva, avrebbe potuto fermare le violenze e mantenere la stabilità del Paese. “Prego con tutto il cuore che il Signor Presidente possa vedere, lui, la sua famiglia e i suoi consiglieri, quest’occasione come storica perché la Siria possa fare un salto di qualità nel senso di un futuro più giusto”, aveva scritto Padre Paolo. Ma la sua preghiera cadde inascoltata, anzi, scatenò l’ira di Assad che emise un ordine di espulsione, nel quale tra le motivazioni spicca il “favoreggiamento ai terroristi”. In un’intervista del gennaio 2013, Padre Paolo rispondeva così:
“Io sono stato in una delle città accerchiate e in mano alla rivoluzione, ho dato il sangue ai feriti, ho cercato di liberare i prigionieri, i rapiti e questo mi ha messo in contatto con la resistenza armata [nda: FSA]. In seguito si è detto che Padre Paolo è connesso con il terrorismo, ma per il governo è tutto terrorismo la rivoluzione [..] Ora siccome sono solidale con i giovani che chiedono la democrazia e vengono imprigionati, torturati o massacrati, divento un agente terrorista.”
L’espulsione non venne immediatamente eseguita e Padre Paolo potè restare a patto di mantenere un “basso profilo”, evitando dichiarazioni contrarie al regime. Tuttavia, in seguito alla pubblicazione di una lettera aperta indirizzata all’allora Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan (maggio 2012) in cui si esortava l’intervento del Consiglio di Sicurezza e dei caschi blu e l’istituzione di una no fly zone per tutelare i civili dai bombardamenti indiscriminati dell’aviazione governativa, su pressione del suo vescovo fu costretto a lasciare la Siria. Accompagnato in Libano dal Nunzio Apostolico di Damasco, e non dalle autorità governative, il 12 giugno 2012, andò in esilio a Sulaymaniyah, nel Kurdistan iracheno. Ma anche dall’esilio non smise di denunciare le violenze e di rivendicare a gran voce la necessità di una soluzione democratica al conflitto che partisse dal rinnovamento del governo siriano e ponesse fine a una dittatura decennale.
La sua coraggiosa presa di posizione a favore dei manifestanti, in nome della tutela dei diritti umani e delle legittime aspirazioni di libertà, lo rese da sempre molto amato dal popolo siriano, come testimoniato in diverse occasioni: il 4 dicembre 2011 cittadini siriani dedicarono proprio a Padre Paolo uno degli usuali venerdì di protesta, a sottolineare quanto in questo caso la religione fosse motivo di unione e non divisione.
4 dicembre 2011: una delle manifestazioni dedicata a Padre Paolo. Parteciparono anche molti bambini.
Nel dicembre 2012, a Dall’Oglio fu assegnato il Premio per la Pace della regione Lombardia per il suo sforzo di pacificare la Siria. Ma l’onestà, la franchezza e l’intransigenza della sua posizione nei confronti del governo siriano lo resero un personaggio scomodo anche alle autorità ecclesiastiche, storiche alleate di Damasco: inascoltata fu anche la sua lettera aperta a Papa Francesco, anche lui gesuita.
Nel luglio 2013 Padre Paolo tornò in Siria, nella città orientale di Raqqa. L’ultima traccia che si ha di lui è registrata in questo video che lo mostra partecipare, il 28 luglio, a una manifestazione a sostegno della città martire di Homs, allora posta sotto assedio delle truppe governative. Il 29 luglio venne rapito dall’ISIS e da allora non se ne hanno più notizie certe, se non dichiarazioni contrastanti e mai verificate. Secondo alcune fonti sarebbe stato giustiziato 2 ore dopo il rapimento, ma poi sarebbe stato avvistato in una prigione di Aleppo ed infine tra i prigionieri di ISIS a Raqqa. La Farnesina non ha mai confermato né smentito e ad oggi il suo destino è sconosciuto.
Ma perchè Raqqa?
Perchè quando nel marzo 2013 Raqqa divenne la prima città siriana a cadere interamente nelle mani dell’opposizione, divenne uno dei primi esperimenti riusciti di autogoverno della società civile che formò governi locali e movimenti pacifici (come Our Right e Raqqa Free Youth Assembly) che rimisero in moto la città. Ci furono persino le prime elezioni locali libere dopo oltre 40 anni di dittatura. Ma l’idillio durò poco, non solo perchè l’aviazione governativa bombardava quotidianamente Raqqa, ma anche perchè ISIS (che in quei mesi cominciava a consolidare il potere in Siria) attaccò la città assumendone nei mesi successivi il totale controllo. Tornò il terrore, la caccia agli attivisti, le torture e le esecuzioni. A Raqqa Padre Paolo voleva incontrare i leader di ISIS per chiedere la liberazione dei giornalisti stranieri, ma fu rapito a sua volta.
“È follia per la pecora parlare di pace con il lupo”, scriveva Thomas Fuller. Forse, ma chi crede fermamente nella pace, nella democrazia, chi non si piega alle logiche di opportunità politica, chi fa dell’etica cristiana uno stile di vita e non solo un abito, non teme nemmeno i lupi.
Per ricordare il padre gesuita, il 23 luglio scorso è nata l’Associazione “Giornalisti amici di padre Dall’Oglio” .
Di Samantha Falciatori