C’è all’orizzonte una nuova “guerra dei mondi” tra Cuba e gli Stati Uniti d’America? Per quanto questa domanda riporti alla mente grandi opere fantascientifiche, bisogna parlare dell’attuale scontro tra l’Amministrazione Trump e il governo cubano guidato da Castro.
Tra Stati Uniti e Cuba esiste un dialogo che valica le ere politiche, e che dipende dalla prossimità geografica più che dalla comunanza d’intenti. Fulgencio Batista, precedente dittatore cubano, governò con il beneplacito statunitense fino al 1° gennaio 1959, quando Fidel Castro diede inizio alla sua rivoluzione e al governo castrista. Il Presidente Eisenhower applicò in seguito l’embargo commerciale per sanzionare il regime comunista e indebolirlo.
La rottura dei rapporti diplomatici e la tentata invasione statunitense, iniziata con lo sbarco nella Baia dei Porci nel 1961, spianarono la strada al controllo sovietico dell’isola. La situazione mondiale, dopo un climax ascendente di paura, raggiunse come sappiamo il suo apice nel 1962 con la crisi missilistica di Cuba: la percezione di essere sull’orlo di un conflitto nucleare segnò profondamente il corso degli eventi.
Tornando a giorni a noi più vicini, una svolta fondamentale nelle relazioni diplomatiche tra Cuba e gli Stati Uniti d’America è rappresentata dall’introduzione nel 1995 da parte dell’amministrazione Clinton della politica dei “pies secos, pies mojados“, (in italiano, “piedi asciutti, piedi bagnati”). Questa pratica diede la possibilità ai Cubani, arrivati anche in modo illegale sulle coste nordamericane, di ottenere la cittadinanza dopo un anno e un giorno di permanenza nel Paese “a stelle e strisce”.
Ma un passo storico verso la normalizzazione dei rapporti bilaterali è stato fatto da Obama all’inizio del 2017. Dopo lunghe trattative diplomatiche, la politica dei “pies secos, pies mojados” è stata eliminata a una settimana dalla fine del secondo mandato presidenziale.
Questo avvenimento sembrava aver messo la parola “fine” ad un programma politico controverso, mal visto da L’Havana, in quanto incentivava la fuga dal paese non solo di dissidenti politici, ma anche di cittadini che vedevano prospettive di vita migliori al di là del mare. Eppure, come ogni sequel che si rispetti, c’è sempre un ritorno, una “vendetta”.
Trump, durante un evento a Miami tenuto a metà giugno, ha accusato Obama di aver rimpinguato le tasche delle élites militari dell’isola e aver dato linfa vitale al regime comunista di Castro. Alla fine del suo discorso, ha firmato una nuova policy che modificherà la storia delle relazioni diplomatiche con Cuba.
Una virata diplomatica, quella decisa unilateralmente dal tycoon, verso maggiori limitazioni commerciali e una più severa politica riguardo l’immigrazione.
Assassinii politici da parte della polizia del regime castrista, la consegna di armi al leader nordcoreano Kim Jong Un e la mancanza di libertà fondamentali nel regime cubano, rientrano fra le accuse mosse dal Presidente statunitense a Castro. La tensione, quindi, rimane alta.
La risposta di Cuba non si è fatta attendere. Con un comunicato ufficiale il Ministro degli esteri, Bruno Rodríguez Parrilla, ha annunciato il rifiuto dell’atto firmato da Trump a Miami.
Nel suo discorso, il cancelliere – così è chiamato il Ministro degli esteri cubano – ha accusato Trump di violare il diritto internazionale, di restringere le libertà dei cittadini statunitensi, nonché cubani, e di causare danni economici alle aziende di entrambi i Paesi. Ha sottolineato come la scelta del “vicino” rappresenti “una retrocessione nelle relazioni bilaterali” e anticipa, inoltre, che “questo provvedimento danneggerà le relazioni del governo degli Stati Uniti con l’America Latina”.
Parrilla, avviandosi verso la fine del suo intervento, ha affermato che il 75% degli Americani appoggia il ristabilimento delle relazioni tra Cuba e Stati Uniti. In attesa di denunciare il fatto di fronte la prossima Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il Ministro ha concluso paventando l’incombenza di una potenziale terza guerra mondiale.
di Mario Mirabile