di Mohamed-Ali Anouar
Come spesso accade, le elezioni in Africa presentano alla popolazione un conto troppo salato da pagare. La vita politica nel Continente Nero è sempre intrigante e accomunata da un minimo comune denominatore, ovvero il potere eterno. Lo slogan utilizzato da tutti i leader africani è sempre lo stesso “restare al potere per assicurare la pace, la stabilità e la prosperità del paese”, proprio come sembra intenzionato a fare Joseph Kabila, Presidente del Congo-Kinshasa (Repubblica Democratica del Congo).
La Repubblica Democratica del Congo sta attraversando una grave crisi politica a causa dell’ennesima prova di forza da parte del Presidente Kabila, che sta tentando di manipolare il processo elettorale. L’opposizione frammentata fatica contro la strategia politica del regime Kabila, che sta facendo tutto il possibile per far slittare le elezioni previste il prossimo 27 novembre nel tentativo di rimanere “de facto” al potere.
Joseph Kabila, alla guida del Congo Kinshasa dal Gennaio 2001 – dopo la morte del Padre Laurent-Désiré Kabila durante la Seconda Guerra del Congo -, vuole seguire le orme di Denis Sassou Nguesso, l’uomo forte del vicino Congo Brazzaville, ovvero la presidenza a vita. Sassou Nguesso riuscì a modificare la legge della costituzione bypassando l’ostacolo dei due mandati, mentre Kabila non ci è riuscito.
Ciononostante, Kabila, è riuscito a far sospendere e rimandare le elezioni. La Corte costituzionale ha stabilito lo scorso 11 maggio (per evitare che lo Stato rimanesse senza un “capo supremo”) che il Presidente uscente potrà restare in carica finché non sarà eletto il suo successore; ecco il suo escamotage per restare al potere. Ad oggi si parla della “strategia del glissement”, come viene ironicamente definita nel Paese, ovvero di un ritardo voluto delle elezioni di circa 16 mesi rispetto alla data stabilita. Giovedì 26 maggio 2016, l’opposizione ha organizzato manifestazioni in tutto il Paese per protestare contro questa decisione del governo centrale. Molti gridano al golpe costituzionale. Queste manifestazioni hanno anche l’intento di denunciare le atrocità commesse dall’esercito regolare a Beni e a Lutero, nel nord-est del Paese, dove una lunga serie di massacri si perpetuano ogni giorno da oltre 2 anni.
Secondo l’opposizione – composta dal Movimento di Liberazione del Congo (MLC), l’Unione per la Nazione Congolese (UNC) e dal miliardario Moise Katumbi, ex governatore del Katanga (grande provincia del Paese) – sono stati oltre 200.000 i manifestanti a scendere per le strade nella sola Kinshasa, la capitale. Un numero comunque modesto se si considera che la città conta circa 14 milioni di abitanti. Le tensioni non sono mancate: pochi minuti dopo l’inizio del corteo, polizia e manifestanti si sono affrontati, soprattutto a Goma, città orientale di 1 milione di abitanti, dove le repressioni sono state più violente. I giovani congolesi condividono la frustrazione di un destino che sembra già segnato. Nonostante le immense ricchezze e risorse naturali di cui dispone il Paese, sofferenza e miseria rimangono le parole che accomunano le esperienze di tutti. Il paese è pieno di armi e gruppi armati soprattutto ai confini con l’Uganda, il Ruanda e il Burundi. Questa zona del Congo è molto ricca ed ecco perché i vari governi confinanti sovvenzionano con ogni mezzo le varie milizie.
Il futuro dell’ex colonia belga non sembra sereno. Una serie di dialoghi sono in corso ma nessuna risoluzione sembra vedere il giorno. La crisi politica rischia di compromettere il futuro di un Paese che ha attraversato 2 guerre a cavallo degli anni ’90 e ’00. In un certo senso oggi potremmo ritrovare le stesse dinamiche – interne ed esterne – che poi portarono all’inizio della Prima Guerra del Congo e al successivo rovesciamento del dittatore Mubuto Sese Seko. Senza l’appoggio di forze straniere è difficile che si riproduca una Seconda Guerra Mondiale Africana, poiché molte cose sono cambiate dal 1990. Kinshasa è ormai una megalopoli collegata con il mondo. È possibile che la nuova generazione crei un consenso intorno al rifiuto delle vecchie gerarchie e della politica tradizionale. Quando questo si realizzerà e sotto quale forma è impossibile saperlo ma sembra improbabile che ciò avvenga oggi. Ciò che invece è plausibile è che attuale governo e opposizione non trovino un accordo e che questa situazione paralizzi la crisi che attanaglia il Paese.