La situazione siriana è un inferno. Capire cosa sta succedendo è doveroso in quanto esseri umani e indispensabile per la comprensione di quei fenomeni che travalicano i confini naturali di quella terra. Per questo motivo la nostra Rivista seguirà più da vicino la guerra siriana, che in realtà sono tante guerre diverse e sovrapposte, in modo da fornire un quadro sempre aggiornato e il più chiaro possibile.
Con il conflitto in fase di declino, varie potenze stanno competendo per influenzare l’assetto futuro della Siria attraverso la ricostruzione. Finora però si parla di quella infrastrutturale: quella sociale ne è pericolosamente esclusa.
Mentre sempre più territori in Siria vengono liberati dall’ISIS e mentre le aree di cessate-il-fuoco sembrano prospettare l’avvio verso la fine della guerra, i principali attori del conflitto siriano stanno dando una nuova dimensione al proprio impegno in campo. Nel corso degli ultimi mesi, infatti, tanto il regime di Assad quanto le potenze esterne hanno iniziato a impegnarsi per la ricostruzione della Siria.
Il regime di Assad sta utilizzando lo strumento della ricostruzione per recuperare legittimità e rafforzare il controllo sulle aree che l’esercito siriano ha riconquistato, per ricompensare gli alleati che ne hanno permesso la sopravvivenza e per punire l’opposizione e le aree che ne sono state culla.
Sulla spinta di questa strategia, Assad ha speso l’ultimo anno a garantire agli alleati – Iran e Russia – contratti per la ricostruzione del Paese, indirizzandoli però esclusivamente verso le zone a maggioranza alawita e di provata fedeltà al regime. Viceversa, come sottolinea Lina Khatib, direttrice del programma Medio Oriente e Nord Africa di Chatham House, Assad ha escluso da ogni progetto di ricostruzione le zone che sono state i focolai dell’opposizione al fine di mantenerle povere, inadeguatamente sviluppate e – di conseguenza – dipendenti dal governo centrale.
La relazione tra ricostruzione, influenza e potere è anche alla base dell’interesse che le potenze straniere stanno dimostrano verso un Paese che hanno contribuito a distruggere durante sei anni di conflitto. Come era avvenuto in passato in Bosnia-Erzegovina, Libano e Iraq, l’intervento nella ricostruzione della Siria è visto come un efficace strumento per controllare la definizione dell’assetto post-bellico del Paese e per assicurarsi che esso risponda ai propri interessi politici e strategici nella regione.
Allo stesso tempo, partecipare alla ricostruzione consente di ottenere vantaggi economici e finanziari grazie alle opportunità di investimento che si presentano in un Paese che muove i primi passi verso la stabilizzazione. Per questo Iran, Russia e Turchia si sono fatte avanti per finanziare – e influenzare- la ricostruzione.
L’Iran ha firmato con Damasco una serie di accordi che includono la costruzione di terminal di gas e petrolio, di una rete per le telecomunicazioni e l’avvio di progetti per lo sviluppo agricolo e minerario. Nella provincia di Aleppo una serie di gruppi locali controllati da Teheran si sono dedicati a fornire servizi sociali alla popolazione e la Iranian Reconstruction Authority ha pubblicizzato propri progetti per la ricostruzione e il rinnovo di edifici privati, scuole e strade. Più recentemente, durante una visita del Ministro siriano dell’elettricità a Teheran, Siria e Iran hanno firmato un Memorandum d’intesa con il quale l’Iran si fa carico della ricostruzione della rete elettrica del Paese, della costruzione di una centrale a Latakia e della riabilitazione di un’altra nella provincia di Deir Ez-Zor.
L’altro grande alleato di Assad, la Russia di Putin, ha firmato con Damasco accordi per un valore di 850 milioni di euro che vedono coinvolte numerose imprese russe. Già nell’aprile 2016 Mosca aveva firmato contratti per ricostruzioni infrastrutturali del valore di 1 miliardo di dollari e numerose compagnie russe sono coinvolte in affari con Damasco nei settori del petrolio, del gas e dello sfruttamento minerario. Inoltre, sembra che i due Paesi stiano considerando la creazione di una banca congiunta per agevolare le transazioni finanziare che tali progetti richiedono.
Infine, l’altro grande attore che, pur avendo combattuto contro Assad si sta interessando alla ricostruzione delle aree che più ne interessano la sicurezza, è la Turchia. Ankara sta infatti conducendo numerosi progetti di ricostruzione nella zona di Idlib, dove sta esportando materiale per costruzione quale cemento e ferro e guidando progetti di ricostruzione per incoraggiare il ritorno nell’area dei rifugiati siriani attualmente in Turchia. In aggiunta, il Diyanet – la Presidenza turca per gli Affari Religiosi – ha costruito moschee e centri caritatevoli e AFAD – l’Autorità Turca per la Gestione dei Disastri e delle Emergenze – sta pianificando di inviare dottori e insegnanti, di aprire panetterie e riparare scuole e ospedali. Altri progetti sono guidati dall’IHH – l’Organizzazione Turca per il Soccorso Umanitario -, che ha costruito un centro commerciale per famiglie colpite dalla guerra, e dalla Mezzaluna Rossa Turca, che ha fornito cibo, vestiti e materiali per l’igiene personale.
Anche Cina e Brasile si sono fatte avanti per avere il loro ruolo nella ricostruzione, la prima promettendo 2 miliardi di dollari e aiuti in ambito civile, il secondo pianificando di riaprire l’ambasciata per facilitare rapporti economici e progetti di ricostruzione.
Diversamente, Stati Uniti, Unione Europea e Paesi del Golfo si trovano di fronte a un dilemma: abbandonare la pretesa di porre condizioni ai propri aiuti verso la Siria, finendo così per consolidare de facto il potere di Assad, oppure rifiutare di prendere parte alla ricostruzione, rischiando però così di perdere ogni influenza sul futuro siriano e di lasciare mano libera a Mosca e Teheran. Di fronte a tale dilemma, Riyadh e Washington hanno inviato propri funzionari a Raqqa, dove si sono incontrati con il Raqqa Civil Council istituito dalle Forze Democratiche Siriane (SDF) per amministrare la città dopo la sua “liberazione”.
Tuttavia, mentre Assad usa la ricostruzione per accrescere il proprio controllo sul territorio e mentre le potenze straniere vedono la ricostruzione come strumento per accrescere la propria influenza sul futuro assetto politico della Siria, ciò a cui nessuno sembra prestare attenzione è il nesso tra ricostruzione infrastrutturale e rimarginazione della società civile.
Lontana dall’avere solo una componente materiale da ricostruire, infatti, la rinascita deve passare anche attraverso la ricostruzione della sua società. In un contesto caratterizzato da profonda varietà etnica e religiosa e in cui la guerra ha esacerbato le divisioni, servono anche programmi di pacificazione che portino a una riconciliazione duratura. Per farlo però occorre anche risolvere le cause profonde del conflitto (che non è una guerra civile), cioè quelle che nel 2011 spinsero milioni di siriani a protestare per le strade chiedendo riforme e diritti. Il ruolo nel futuro politico della Siria del regime, che secondo le indagini internazionali ha commesso crimini contro l’umanità e di guerra ai danni della popolazione civile, sarà un nodo cruciale per la pacificazione, che sarà forse possibile solo con una transizione e processi di giustizia verso tutte le parti del conflitto.
Inoltre, è necessario che i programmi di ricostruzione edilizia non siano limitati solo ad alcune aree, ma estesi a tutta la popolazione. Dovrebbe essere nell’interesse di tutti gli attori coinvolti comprendere che se la ricostruzione edilizia non verrà accompagnata da quella sociale nessuna stabilità sarà duratura e il rischio di nuove ostilità continuerà ad incombere sul futuro del Paese.
di Marta Furlan