La situazione siriana è un inferno. Capire cosa sta succedendo è doveroso in quanto esseri umani e indispensabile per la comprensione di quei fenomeni che travalicano i confini naturali di quella terra. Per questo motivo la nostra Rivista seguirà più da vicino la guerra siriana, che in realtà sono tante guerre diverse e sovrapposte, in modo da fornire un quadro sempre aggiornato e il più chiaro possibile.
Dalla linea rossa di Macron sulle armi chimiche all’abbattimento del jet israeliano da parte della contraerea siriana, cosa sta cambiando in Siria e perché?
Dopo gli ultimi attacchi al gas clorino su Ghouta (Damasco) e Saraqeb (Idlib), sia il presidente americano Trump che il presidente francese Macron hanno minacciato di nuovo la “linea rossa”.
Trump ha avvertito che il regime siriano starebbe sviluppando nuove armi chimiche più difficili da tracciare e riconoscere, e che gli Stati Uniti sarebbero pronti a considerare un intervento militare per scoraggiarne l’uso.
Dal nostro lato dell’Atlantico, Macron ha detto che l’uso di armi chimiche sarebbe una “linea rossa”, e che se fosse accertato il loro uso da parte del regime in attacchi “letali”, Parigi si impegnerebbe per bombardare i siti di lancio. Che è un po’ come dire che se gli attacchi chimici fossero accertati ma non mortali non incorrerebbero in una rappresaglia e quindi sarebbero tollerati.
Questa infelice contraddizione non è la sola a minare la credibilità della minaccia: dal 2013 il regime siriano ha usato innumerevoli volte sia gas sarin che clorino e le sue responsabilità sono state accertate dall’Organizzazione per la Proibizione della Ami Chimiche e dalla Commissione d’Inchiesta ONU.
Anche la retorica della linea rossa è stata usata innumerevoli volte: da Obama nel 2012, da Trump nel 2017, dallo stesso Macron nel maggio 2017. Non ci sono mai stati però interventi che dessero seguito alle minacce, salvo la rappresaglia di Trump dopo l’attacco al sarin su Khan Shaykoun che però fu un atto simbolico, tanto che il regime fu avvertito prima dell’attacco.
Anche per questo l’uso di armi chimiche è continuato impunito: secondo alcuni analisti il regime ha continuato a usarle proprio per testare la risposta internazionale e vedere “fin dove potersi spingere”.
Perché dunque queste minacce di intervento giungono ora?
La risposta a questa domanda non risiede nell’uso di armi chimiche in sé, o nella protezione dei civili, che da sette anni vengono uccisi con ogni arma – sia convenzionale che non – senza alcuna tutela internazionale: la risposta, se esiste, risiede negli sviluppi del conflitto.
L’11 febbraio un F16 israeliano è stato abbattuto dalla contraerea siriana mentre rientrava da una missione in Siria, dopo che un elicottero israeliano aveva abbattuto a sua volta un drone iraniano che aveva sconfinato nel suo spazio aereo. Israele ha risposto bombardando 12 obiettivi militari siriani e iraniani in Siria.
Sebbene siano cinque anni che Israele effettua bombardamenti mirati a convogli di armi di e per Hezbollah in territorio siriano, è la prima volta che Damasco reagisce abbattendo un jet israeliano: una prova di forza che indica che non solo il regime siriano ma anche l’Iran hanno consolidato la loro posizione militare tanto da scatenare un incidente con Israele.
Per Israele diventa dunque sempre più imperativo arginare l’influenza iraniana lungo i suoi confini, dato che oggi l’Iran è in grado di muovere mezzi, armi e denaro a favore degli alleati libanesi di Hezbollah, potenzialmente capaci di attaccare Israele direttamente dalla Siria.
L’abbattimento del jet israeliano indica dunque un ribilanciamento delle forze degli attori in campo, e potrebbe spingere Israele a un maggiore coinvolgimento nel conflitto a tutela dei propri interessi e della propria sicurezza.
Come d’altronde stanno facendo tutti gli attori in campo: la Russia assicurandosi pieno controllo sulla zona costiera, l’Iran assicurandosi il controllo su Damasco, la Turchia intervenendo ad Afrin e gli Stati Uniti attestandosi nel Rojava.
In Siria si assiste da tempo a una divisione in aree di influenza in cui gli attori coinvolti cercano di affermare il controllo. In questo quadro è per ora esclusa la Francia, che pure ha partecipato alla Coalizione anti-ISIS. È in quest’ottica che va forse interpretata la minaccia di Macron sulle armi chimiche.
Inoltre, le preoccupazioni di Israele circa l’espansione iraniana sono ben condivise dall’Arabia Saudita e non è da escludere un avvicinamento di questi due attori in chiave anti-iraniana. A novembre 2017 c’erano stati contatti segreti tra Israele e Arabia Saudita di cui non è noto il contenuto ma che riguardavano anche l’Iran.
Un conflitto aperto tra Israele e Iran nel prossimo futuro è però poco probabile secondo alcuni analisti, perché si estenderebbe a tutta la regione, coinvolgendo anche Libano e Palestina. Una destabilizzazione dove quasi nessuno avrebbe da guadagnarci, ma tutti da perderci qualcosa.
Tuttavia la priorità israeliana di arginare l’Iran non è negoziabile come non lo è la presenza iraniana in Siria, e non è da escludere che tale insormontabile conflitto di interessi porti all’apertura di un nuovo fronte. Anzi, le crescenti tensioni potrebbero anche far emergere quelle divergenze d’intenti, nel lungo termine, tra Iran e Russia, che avevamo analizzato qui e qui.
Forti, a tal proposito, sono le parole del Vice Ambasciatore russo in Israele, Leonid Frolov, che ha detto:
Nel caso di un’aggressione contro Israele, non solo gli Stati Uniti staranno dalla parte di Israele – ma anche la Russia lo sarà. Molti nostri connazionali vivono qui, Israele è una nazione amica e quindi non permetteremo alcuna aggressione contro di lei“
Dopo l’abbattimento dell’F16 il Ministero degli esteri russo ha cercato di mediare invocando la calma, a pochi giorni dalla visita di Netanyahu a Putin, tenuta il 29 gennaio, in cui il Premier israeliano ha reiterato le sue preoccupazioni sull’Iran.
Le crescenti tensioni potrebbero portare a esiti imprevisti ed è plausibile aspettarsi nuovi “incidenti”.
D’altra parte, in appena una settimana, dal 3 al 10 febbraio, sono stati abbattuti in Siria quattro velivoli militari di quattro Paesi diversi: un jet russo abbattuto dai ribelli a Idlib; un elicottero turco abbattuto dall’YPG a Afrin; il drone iraniano abbattuto da Israele; l’F16 israeliano abbattuto dalla Siria.
A ciò si aggiunge il bombardamento americano a Deir ez-Zor di truppe lealiste siriane, che tentavano di attaccare l’YPG, che ha ucciso 100 miliziani di Assad e alcuni contractor russi. Segno di un’internazionalizzazione che secondo alcuni analisti ha già aperto una nuova fase del conflitto siriano.
di Samantha Falciatori