Di Giovanni De Gregorio
Secondo la Federal Reserve l’economia mondiale è ancora in affanno. Lo testimonia la decisione presa il 17 settembre scorso di mantenere inalterati i tassi d’interesse, prossimi allo zero da parecchi anni. In molti si aspettavano un’inversione di tendenza che non c’è stata.
Dopo le previsioni dei mercati finanziari la decisione finale è arrivata: la Banca centrale degli Stati Uniti, conosciuta anche come Federal Reserve (o FED), ha deciso di non modificare i tassi sul costo del denaro, che rimangono quindi al loro minimo storico. La decisione è stata presa giovedì 17 Settembre dopo due giorni di meeting durante i quali si è verificata una volatilità elevata dei mercati. Il parere negativo della FED riguardo l’innalzamento dei tassi d’interesse ha avuto l’effetto di spingere al ribasso i rendimenti dei paesi industrializzati ancora in attesa di segnali di ricrescita a beneficio dei paesi in via di sviluppo. La scelta della Fed è stata ben accolta da alcune economie che sarebbero state colpite da un aumento del costo del dollaro come la Cina e il Brasile.
Parte del debito sovrano di molti paesi emergenti è infatti espresso in dollari: la Tanzania, ad esempio, avrebbe subito un duro colpo da una decisione di aumento della banca centrale mettendo il paese in seria difficoltà finanziaria insieme ad altri paesi africani tra i quali Bhutan, Capo Verde, Dominica, Etiopia, Ghana, Laos, Mauritania, Mongolia, Mozambico, Samoa, Sao Tomé e Principe, Senegal, e Uganda. Altri paesi come il Brasile hanno beneficiato del mancato aumento continuando a nascondere una crescita non così elevata come ci si aspettava. Il grafico mostra come le vendite al dettaglio, quindi i consumi, non aumentano dal 2012.
La Cina forse è quella che ha beneficiato di più del non aumento del costo del dollaro. La diminuzione delle esportazioni che ne sarebbe scaturita avrebbe aggravato la situazione di crescita cinese – già compromessa dalle crisi finanziarie estive – che per una buona parte si basa sulla capacità del paese orientale di esportare i propri prodotti. La diminuzione della produzione industriale testimonia il calo della richiesta estera di merci cinesi. L’importanza data alla decisione della Banca centrale ha testimoniato che pur esistendo nuove grandi economie nel mondo, gli Stati Uniti rivestono ancora un ruolo preminente per l’economia internazionale.
In realtà la “non scelta” sui tassi della FED testimonia un clima di tensione finanziaria negli Stati Uniti. Dopo la crisi Cinese tra luglio e agosto e le seguenti manovre di svalutazione, i mercati auspicavano un aumento dei tassi di interesse in modo da dare un segnale che gli Stati Uniti erano in ripresa. La cautela della Banca centrale americana testimonia ancora che la crescita reale ancora tarda ad eguagliare i tassi di quella nominale. Il seguente grafico mostra come l’ultimo aumento del costo del denaro risale al 2006. I tassi sono stati poi fatti crollare nel 2008, con l’inizio della crisi di Lehman Brothers.
La decisione finale, però, è solo stata rimandata alla fine del 2015, verso il quale i mercati auspicano un aumento seppur minimo dei tassi di interesse. Quello che si può dire quindi è che la FED ha tenuto in conto lo stato dell’economia globale e la debole crescita economica internazionale, certificata peraltro dall’OCSE, ed ha deciso di ritardare una decisione che inevitabilmente verrà presa nei prossimi mesi.