TTIP – L’affondamento del Transatlantico?

di Alen Radetic

Il TTIP è morto , almeno a livello politico. Nel mondo occidentale, la tendenza anti commerciale attuale è riscontrabile anche nei tentativi di rinegoziato del CETA (accordo commerciale con il Canada) e del TiSA (accordo commerciale nell’area dei servizi). Il partenariato transatlantico avrebbe dovuto unire i blocchi economici degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, ma è diventato solo l’ultimo tentativo fallito d’integrazione istituzionale (costituito da poche luci e molte ombre – NATO esclusa).

[ecko_alert color=”orange”]La prospettiva geostrategica[/ecko_alert]

Il TTIP e il suo gemello nell’Oceano Pacifico, il TPP , riflettono l’intento degli Stati Uniti d’America di sostituire il modello globale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (sopratutto dopo il fallimento del Doha Round) con un’insieme di accordi regionali circoscritti. Tali accori avrebbero una funzione di contenimento verso i due maggiori pericoli geopolitici nella visione statunitense, la Cina (TPP) e la Russia (TTIP). Questa considerazione è sopratutto riscontrabile nelle parole del Presidente statunitense Barack Obama dopo la firma del TPP nel settembre del 2015: “When more than 95 percent of our potential customers live outside our borders, we can’t let countries like China write the rules of the global economy. We should write those rules, opening new markets to American products while setting high standards for protecting workers and preserving our environment.”

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Patners TPP/TTIP – Credits: Stratfor

Quindi scrivere le regole, giocare un ruolo chiave nella costruzione di sistemi economici, costringere le altre potenze ad accettare i patti o rimanerne tagliati fuori, esercitare potere per proteggere l’interesse nazionale. Dal punto di vista geopolitico, l’Unione Europea è una costruzione degli Stati Uniti d’America. La NATO e il TTIP potrebbero assicurare il mantenimento dell’architettura comunitaria, tenendo vicine le due parti. Senza le due sovrastrutture, molto probabilmente l’Unione si scioglierebbe, guidata da un’egemone disinteressato (la Germania) alle innumerevoli contraddizioni e alle spinte centrifughe che operano al suo interno. Dobbiamo allora smentire la frase iniziale: il TTIP non è (ancora) morto. Se ne riparlerà nel 2018, dopo le elezioni negli Stati Uniti d’America, in Francia e sopratutto in Germania. Se ai cittadini verrà chiesta una opinione, dovranno tenere in considerazione sia la prospettiva economica, sia quella geo-strategica.

[ecko_alert color=”orange”]La prospettiva economica[/ecko_alert]

L’ipotetico impatto sull’economia reale del TTIP è molto difficile da misurare. Il fronte dei favorevoli all’accordo usa di solito il modello del CEPR di Londra , scritto dal economista Joseph Francois , secondo il quale i PIL dell’UE e degli USA crescerebbero rispettivamente del 0,5% e del 0,4% fino al 2027 (relativamente allo scenario di base senza il TTIP). Il fronte dei contrari usa il modello dell’economista keynesiano Jeronim Capaldo del Global Development and Environment Institute, che conferma grossomodo la crescita del PIL statunitense, ma il calo di quello europeo.

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Il mercantile Osaka Express, operato da Hapag-Lloyd AG in attracco a Southampton – Credits: Getty

La crescita del PIL non è, in sè, garanzia dell’aumento del benessere economico. Nel modello CEPR manca un’analisi dell’impatto sul sistema di welfare, che costituisce però un problema politico fondamentale (per un’analisi dell’impatto sul welfare, consultare il blog di Bruegel ). L’altro dato che viene spesso menzionato è l’aumento dei volumi commerciali. Di nuovo, in sè, l’aumento della quantità delle merci non dice nulla sull’aumento del benessere economico. Per dirla con le parole dell’economista Dani Rodrik : “One dollar of output that is exported is no more (or less) valuable to the home economy than one dollar of output that is consumed at home.”

Nella prospettiva economica bisogna introdurre anche la cornice legislativa. Sull’ISDS si è detto, e sopratutto scritto molto. Un’altro problema notevole, del quale si è però scritto meno, è la “Regulatory Cooperation”. Essa prevede la creazione di un consiglio formato da rappresentanti del governo statunitense e di varie autorità (non specificate) dell’Unione Europea. Secondo il progetto, i provvedimenti legislativi riguardanti la regolamentazione, prima di essere esposti ai voti dei parlamenti nazionali, dovrebbero essere sottoposti al consiglio per la regolamentazione, affinchè si possa verificare la conformità con il TTIP. A differenza delle procedure nazionali, dove nel processo legislativo vengono coinvolte molte forze sociali, nel consiglio per la regolamentazione, gli interessi imprenditoriali non avrebbero alcun contrappeso, non sarebbero controbilanciati in alcun modo dagli interessi dei cittadini. Il ruolo eccessivo dei regolatori è stato però notato da molte fonti (Europarlamento), e probabilmente, nel potenziale accordo il consiglio avrebbe avuto una funzione esclusivamente consultiva.